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sabato 7 aprile 2018

Procopio dei Coltelli: l'invenzione dell'inventore

Gelato artigianale

Inventare qualcosa è una impresa piuttosto difficile, non tutti ne hanno il giusto genio e la capacità. Ma talora persone di provenienza umile riescono a creare opere degne di stupore, opere talora semplici, ma mai osate sperimentare prima. Così un pescatore di Acitrezza creò un tino in cui far rinfrescare il pesce preso a largo dei Faraglioni. Suo nipote ebbe a migliorare tale invenzione e la rese celebre in tutto il mondo a partire dall'allora capitale culturale d'Europa, Parigi. Così nasce la prima gelatiera al mondo (Rothrock 1906; Caviezel 1986; Portinari 1987).
Ma inventare qualcuno è un'impresa ancora più ardua, in cui solo rari esperti della fuffa riescono in una tale arzigogolata impresa. L'invenzione di Francesco Cutò.
Andiamo con ordine.
Procope-des-Couteaux.
Nel 1686, un Procopio dei Coltelli, siciliano, acquista il Café Grégoire, il più antico bar di Parigi, si sosteneva. Questo locale venne fondato da un armeno che gli impose il proprio nome, il quale giunse in Francia probabilmente a seguito del sultano Muhammed IV. La locanda era originariamente lungo la rue Mazarine, salvo trasferirsi nel 1680 in rue des Fossés-Saint-Germain, praticamente inseguendo la sede della Comédie-Française. Il nuovo proprietario gli ingiunse il nome a tutt'oggi caratterizzante il Café: Le Procope (Leclant 1951). Per il resto, questa figura sfuma tra documenti di diversa estrazione.
Così capita che si citino certificati di matrimonio, parentele, certificati di battesimo e di morte. Tuttavia tali documenti, a parte essere citati da questo o quello studioso in un infinito gioco di specchi, si perdono nell'aria o, se si preferisce, nella sofficità del gelato. Così che l'unico vero documento certo è la targa sul locale Le Procope, oggi ristorante, che recita esplicitamente:
Café Procope. Qui Procopio dei Coltelli fondò nel 1686 il più antico bar al mondo e il più famoso centro della vita letteraria e filosofica del XVIII e XIX secolo. Fu frequentato da La Fontaine, Voltaire, gli Enciclopedisti, Benjamin Franklin, Danton, Marat, Robespierre, Napoleon Bonaparte, Balzac, Victor Hugo, Gambetta, Verlaine e Anatole France
Per il resto risultano esservi anche insigni studiosi che si sono cimentati nell'antico e consueto gioco del riprendere la diceria popolare senza particolare attenzione a verificarne la veridicità storica. Come l'ipotesi della fondazione del locale nel 1675 e successiva rifondazione del 1686 nella sua definitiva sede (Fitch 1989) o i suoi studi da cuoco a Palermo (Ukers 1922).
Targa commemorativa sulla facciata del Le Procope.
Ma accade che in anni a noi recenti avvenga una stranezza a cui è seguita una eco persino internazionale, al punto che alcune autorevoli testate vi abbiano dato credito senza curarsi dell'attendibilità della fonte (Le Figaro, 15/03/2018): Procopio dei Coltelli sarebbe, secondo una teoria un po' contorta, nato a Palermo col nome di Francesco Cutò (Messina 2003).
La vicenda inizia con il rinvenimento di un atto di battesimo di un tal Francesco Cutò, datato l'indomani della nascita ufficialmente riportata del dei Coltelli (9 febbraio 1651), presso la chiesa di Sant'Ippolito nel quartiere del Capo, a Palermo. Marcello Messina, presentandosi come studioso, pubblica nel 2003 tale scoperta, con l'ausilio del più noto e autorevole inventore di miti palermitani, Gaetano Basile. L'ipotesi avanzata dal Messina è che Cutò, giunto a Parigi, avrebbe nobilitato il cognome in des-Couteaux, generando quindi una erronea - secondo tale ipotesi - traduzione in dei Coltelli, partendo dall'assonanza fonetica tra Cutò e Couteaux. Tale ipotesi tuttavia non trova nessun appiglio: non esistono documenti che certifichino tale fantasiosa azione di nobilitazione del proprio cognome da parte di Procopio, né tantomeno esistono documenti che certifichino un passaggio da Cutò a des Couteaux a dei Coltelli. Non esistono nemmeno fonti che certifichino il nome di Francesco. In sintesi, lo studioso Messina può benissimo aver preso un abbaglio, facendo un banale scambio di persona, basandosi essenzialmente sul nulla.
Le Procope - il bar.
Ma se da un lato Messina può aver agito in buona fede, così non appare evidente nell'opera di tentativo - anche piuttosto ben riuscito - di averne risonanza compiuto dal giornalista Gaetano Basile, artefice di incontri, convegni e traduzioni atti a portare avanti questa mistificazione. Il giornalista è ben noto per avere inventato le origini dell'arancino, di avergli impresso una campanilistica denominazione al femminile nonostante le fonti più antiche - palermitane tra l'altro - indichino esplicitamente il maschile nel nome della pietanza, giustificando il paradosso da lui stesso creato con un'altra bizzarra teoria: i linguisti del XVIII, XIX e XX secolo si sono sempre sbagliati perché ancora non era stata delineata con certezza la differenza tra i generi tra albero e frutto, come piuttosto sancito dall'Accademia della Crusca. Peccato che il lemma arancino sia di estrazione siciliana e non italiana e che pertanto segua una grammatica evidentemente ignota al giornalista.
In conclusione, cosa possiamo dire, davvero, su Procopio dei Coltelli? Essenzialmente nulla. Le uniche certezze sono rese ancora più fumose da ricerche autonome prive di solide fondamenta, il che ci riporta all'amara considerazione che ogni inventore è destinato a finire nell'olimpo dei miti, circondato da biografi o sedicenti tali incapaci di distinguere realtà da fantasia. Costume questo che non ha risparmiato nemmeno il nostro Procopio dei Coltelli, "gentiluomo siciliano" tradotto non si sa come, né quando, né perché con "gentiluomo palermitano". E su questo solco, lungo questa nuova mitologia, in Palermo si rivendicano in pompa magna i suoi natali, mentre la città di Acicastello pare sonnecchiare e non intenzionata a rendere un tributo, anche minimo, all'inventore del gelato nel borgo tradizionalmente indicato quale luogo natio: la frazione di Acitrezza.

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Nota- Le immagini sono pubblicate su Wikimedia con licenza Creative Commons 2.0, i diritti sono degli Autori.

Rothrock 1906: Addison May R., «Lippincott's Monthly Magazine (1886-1915)», vol. 77, n. 462, Jun 1906, in American Periodicals Series Online, pg. 702
Caviezel 1986: Luca C., Scienza e tecnologia del gelato artigianale, Chiriotti editore, Pinerolo (TO) 1986
Portinari 1987: Folco P., Voglia di Gelato, Idea Libri, Milano 1987
Leclant 1951: Jean L., «Le café et les cafés à Paris (1644-1693)», in Annales. Économies, Sociétés, Civilisations, vol. 6, n. 1,‎ 1951, pp. 1-14
Fitch 1989: Noël Riley F., Literary Cafes of Paris, Starrhill Press, Washington & Philadelphia 1989
Ukers 1922: William H. U., All About Coffee, The tea and coffee trade journal company, New York 1922
Le Figaro 15/03/2018: Les 5 cafés littéraires historiques à Paris, Par 3 Auteurs Publié le 15/03/2018 à 07:00
Messina 2003: Marcello M., «Il caffè Le Procope», in Scirocco, anno 3, nov./dic. 2003, pp. 19-21

martedì 21 marzo 2017

"Voci di cortile", un progetto per contribuire alla rinascita di San Berillo

Aviva, compagnia assicurativa diffusa a livello internazionale, è presente anche in Italia da circa un secolo e, oltre alle canoniche attività commerciali, si propone di impegnarsi sul territorio dando il proprio sostegno a iniziative volte alla valorizzazione della cultura della diversità, alla difesa del futuro dei più giovani e alla tutela della salute. In questo contesto è nato Aviva Community Fund, un’iniziativa preziosa per sensibilizzare sulle tematiche sociali e che offre un ruolo da protagonista a chiunque viva da vicino le necessità della propria comunità. Aviva Community Fund, infatti, offre la possibilità di dare un sostegno economico per una causa importante alle comunità locali, dietro la presentazione di un progetto a sostegno di un’organizzazione non profit.
I progetti vengono votati on line e i vincitori per ciascuna delle 18 donazioni previste ricevono i fondi per la realizzazione, il cui scopo è generare ricadute positive per il territorio che rappresentano.
Nel vasto panorama dei progetti presentati si inserisce anche "Voci di C/ortile", un progetto dell'Associazione Trame di Quartiere, che intende offrire spazi e servizi di aggregazione nel quartiere di San Berillo, nel cuore di Catania, realizzando un giardino di comunità nel palazzo De Gaetani gestito da Trame di Quartiere.


Con la collaborazione del Collettivo Todo, specializzato in micro architettura urbana e rigenerazione partecipata, e lo studio TAM (Topografie e architetture multimediali per i beni culturali), Trame di Quartiere intende ristrutturare il cortile interno del palazzo De Gaetani, oggi in stato di abbandono, riconvertendo un bene degradato in nuove forme di uso comunitario e a sostegno delle fasce sociali più fragili.
Il progetto prevede la realizzazione di un giardino condiviso, un luogo di aggregazione che risponda alle esigenze della comunità e stimoli l'attivazione di individui e gruppi in condizioni di fragilità. Lo spazio comune si presterà per manifestazioni culturali, attività di aggregazione sociale e corsi di formazione professionali sui mestieri tradizionali. Qui il video del progetto.

Chi volesse conoscere meglio i dettagli di questa interessante iniziativa e anche gli altri progetti presenti sul territorio, può farlo attraverso il sito ufficiale di Aviva Community Fund e procedere quindi alla votazione entro il 30 marzo.

domenica 13 novembre 2016

Tour in Coppola: VII - Etna: la Montagna dona, la Montagna toglie

Tour in Coppola: VII - Etna: la Montagna dona, la Montagna toglie

Il lungo cammino di Tour in Coppola continua. E non può escludere Lei. La "Montagna". La più alta cima di Sicilia è lì che svetta da sempre, a meravigliare, a riempire, a modificare le esistenze di chi vive ai suoi bordi, dimenticandosi talora che in realtà parliamo di uno stratovulcano.


L'Etna.
La madre creatrice, il padre distruttore.
Un piccolo universo a sé stante o, se vogliamo, l'origine stessa dell'universo. La nascita del suolo, la sorgente di vita. Il punto di non ritorno.
Si racconta che il filosofo Empedocle, alla ricerca degli elementi, i semi li chiamava, salì in cima al vulcano per capirne la formazione e accidentalmente cadde nella sua immensa bocca trovando la sua fine. L'Etna avrebbe poi rigettato uno dei suoi bronzei sandali, a eterno monito contro i maldestri escursionisti improvvisati.
Ma i filosofi del passato morivano facilmente di morte immaginaria, epica o insulsa, come i tragediografi: basti ricordare la fine di Eschilo, la cui calvizie fu scambiata per un sasso da un rapace, che vi lasciò cadere una testuggine per romperne il guscio.
L'Etna poi sembra attirare a sé personaggi tra i più stravaganti, i quali cercano di solito chimere, leggende inesistenti, perdendosi tra le glabre rocce che qui prendono il nome di sciara. Come quel fantasioso e crudele vescovo - per alcuni Gualtiero di Palearia - il quale smarrì il suo cavallo. Minacciandolo di morte in caso di fallimento, inviò il suo stalliere alla sua ricerca; questi trovò una grotta, al cui interno anticipato da meravigliosi giardini di pietra si ergeva un magnifico castello dove troneggiava nientemeno che l'anima di Arturo, il re per eccellenza, il quale lo mandò indietro a dire che il cavallo lo aveva in custodia lui, ma se il vescovo lo voleva riottenere doveva salire da sé a cercarlo, ma non un capello avrebbe dovuto torcere allo stalliere; il vescovo punì severamente il suo servo quando rientrò, andando poi alla ricerca dell'animale smarrito. Non trovò mai la grotta, ma nemmeno la strada di casa, morendo da solo in mezzo alle desertiche sciare.

La Montagna.
Per gli abitanti del posto è la fertile cima ricca e rigogliosa, il quale suolo è talmente ricco, diceva Strabone, che le vacche mangiandone i prodotti si ingrassano talmente tanto che gli uomini sono costretti a salassarle per evitare che esse scoppino.
La sagoma indimenticabile e riconoscibile è il punto di riferimento per eccellenza, in quest'Isola-Pianeta senza meta, e il siciliano che ritorna dopo un viaggio - per esso stare anche solo un giorno lontano è l'eterno - si sente a casa solo quando ne vede la cima, tanto alta da soverchiare le nuvole stesse.
Ed è come se qui tutte le cose acquistassero un sapore nuovo, diverso, intenso. La ricchezza del suolo, l'abbondanza di argille nel sottosuolo - che consente a valle la presenza di rigogliose sorgenti - e quel clima che uccide gli uomini e le piante, ma nella sofferenza le rende uniche e dall'intenso sapore. E profumo.

Come il profumo delle zagare, il cui frutto - esso sia l'arancio, il limone, il mandarino - diventa un imperfetto capolavoro del gusto: dalla forma irregolare fuori, ma il cui sapore non ha eguali al mondo. E proprio le arance acquisiscono eccellenti proprietà organolettiche diventando rosse, talora intense come nelle qualità Moro e Sanguinella, a causa delle forti escursioni termiche giù, nella valle a sud-ovest tra Paternò ed Adrano. O le nocciole a est, tra Zafferana e Linguaglossa, piccole, deformi, brutte. Ma inimitabili. E il rinomato pistacchio a nord-ovest, verso Bronte, anche lui piccolo e imperfetto.
Ma la regina indiscussa è la vite, la pianta il cui frutto portò alla perdizione il grande patriarca, Mosé, e nel contempo onorò quell'ambiguo dio i cui culti dettavano le stagioni, i ritmi della vita, i momenti di pace e di guerra, Dioniso. Il vino etneo ha una gradazione alcoolica talmente elevata, che veniva prodotto fino alla metà del XX secolo quasi esclusivamente per "smezzare" i delicati e leggeri vini piemontesi e francesi: si raggiunge anche il 15% di volume in alcool. Questo per via della carenza di acque superficiali, per le escursioni termiche tra le caldi estati siciliane e i rigidi inverni dell'alta quota, nonché per i terrazzamenti in cui alloggiano le piante, resi il più stretti possibile. La vite accumula poca acqua e nell'uva si concentrano gli zuccheri i quali stabiliscono il tasso alcoolico durante la fermentazione.

Il Vulcano.
Perché un immenso vulcano è l'Etna. Anzi. Uno stratovulcano, una vera e propria matriosca composta da una serie di vulcani e vulcanismi che si sono sovrapposti nei millenni che si sono susseguiti. Da quei fenomeni che coinvolsero il suolo oceanico dell'estinto Tetide, diventato il Mediterraneo, intorno ai 700 mila anni fa e sviluppatisi seguendo un arco che va da sud verso est seguendo quasi la costa, attraverso attività fessurali si creò la prima struttura portante di ciò che esiste oggi, un insieme di stratificazioni di tipo toloeiitico che prende il nome di livelli basali e tra i 500 e i 300 mila anni fa si formarono i banconi verso sud-ovest; quindi vi fu uno spostamento dei centri eruttivi e la formazione del sistema delle Timpe, vere e proprie falesie laviche; fino ad attività esclusivamente subaeree tra i 110 e i 60 mila anni fa, con il sorgere della Valle del Bove, erroneamente definita caldera. Il Monte Calanna fu il primo imponente vulcano, sostituito dall'esplosivo Trifoglietto (I e II), caratterizzato dalle temibili eruzioni pliniane, quindi sorse l'imponente mole di un vulcano mai più eguagliato durante la genesi dell'Etna: l'Ellittico.
Vissuto quasi 40 mila anni, tra i 55 e i 15 mila anni fa, la sua mole dovette essere la più antica figura che i primi abitanti siciliani conobbero. Il gigante per assoluto, l'Ellittico con i suoi quattro chilometri di altezza. A seguito dello svuotamento della camera magmatica, la struttura cedette al di sotto del suo stesso peso. Fu un evento che certamente rimase impresso nelle memorie del primo Uomo di Sicilia e, secondo alcuni filologi, fu l'evento che diede origine a molti miti del Mediterraneo, tra cui, la Titanomachia.

L'immensa caldera ellittica - avente due chilometri di asse maggiore - venne comunque interessata da nuove eruzioni che crearono il Mongibello Antico. Questo collassò ancora una volta durante lo svilupparsi delle prime società evolute di Sicilia, durante quella attività che forse fu l'immensa eruzione ricordata da Tucidide ed erroneamente riportata alla fine dell'Età del Bronzo, causa della fuga dei Sicani dalla Sicilia orientale. Sulle spoglie dell'Antico sorge adesso il Mongibello Recente, il quale in realtà costituisce il condotto principale di un sistema vulcanico complesso.
L'Etna è costituito infatti da un bacino magmatico che intercetta gli strati argillosi pleistocenici e da una serie di condutture magmatiche la cui esistenza è condizionata dal capriccio dei gas che dal Mantello salgono verso la Crosta. Come la reazione tra le bevande gassate e la soda. Il condotto principale alimenta costantemente le Bocce Centrali (il Sud-Est, la Voragine, il Nord-Est, Bocca Nuova e il più recente Nuovo Sud-Est), ma il peso della stessa struttura lavica tende ad un continuo e lento collasso in espansione, causa di fessure lungo le quali talora si aprono condotti secondari da cui viene emessa lava, per via esplosiva ed effusiva. Sono le ferite sulla pelle del vulcano, da cui fuoriescono zampilli e lingue di quel sangue di roccia che tutto distrugge. Sono crateri dalla effimera vita, imprevedibili, ma situati lungo direttrici ben precise.
Lungo la fessurazione si accumula il materiale emesso dalle "fontane" di lava e sorgono i "Monti" talora disposti in fila come bottoni (da cui il termine di bottoniera), alla sua base rimane il brullo deserto - e dalla mediazione della lingua araba di صحراء, sahra', il siciliano sciara - che ricopre il vecchio suolo distruggendo tutto ciò che esso produceva. Solo il tempo e le generazioni di piante susseguite riescono a rendere il nuovo suolo ancora una volta produttivo, ma l'Uomo davanti al capriccio vulcanico può solo piangere il perduto. Ed è allora che si rassegna.
'A Muntagna runa, 'a Muntagna leva.

martedì 19 gennaio 2016

Campanarazzu. Alle origini di Misterbianco

Dopo un lungo periodo di quiescenza, torniamo a scrivere tra le pagine del nostro blog, e ci occupiamo ancora una volta - dall'ormai lontano mese di giugno - dei beni archeologici e monumentali che arricchiscono la cittadina di Misterbianco. E lo facciamo iniziando dalla fine.

Ipotesi ricostruttiva dell'eruzione del 1669 secondo il pittore Domenico Agosta (fonte).
O per meglio dire dalla distruzione che subì quel primo nucleo abitativo, detto Monasterium Album nei diplomi quattrocenteschi, venendo sommerso dall'ignis flumen del 1669.
Il piccolo abitato, ben documentato nei carteggi cinque e secenteschi, sorgeva a ridosso di un noto monastero fondato probabilmente nel XIV secolo la cui chiesa era dedicata a Santa Maria delle Grazie e le cui pareti erano intonacate di un vivissimo chiarore, tale da ricordare l'edificio appunto quale "Monastero Bianco", donde poi il nome del villaggio.
Stampa dell'incendiato Comune
Antica rappresentazione del borgo di Misterbianco (fonte).
Questo, sorto inizialmente per le attività di supporto dei frati, si ingrandì e ottenne sempre più un carattere urbano al punto da contare più di 900 abitazioni per 3.656 abitanti nel 1652.
Appena dodici anni prima il casale, appartenente al demanio, venne infeudato per rimpinguare le casse regie sotto Filippo IV, a beneficio del genovese Giovanni Andrea Massa che due anni più tardi cedette al casato dei Trigona di Piazza il borgo, nella figura di Vespasiano, chiamato anche Francesco Mario.
Dobbiamo probabilmente a questo "passaggio di consegne" l'aspetto manierista della chiesa madre, già cappella del monastero, nel cui presbiterio si fece seppellire il Trigona, già barone di S. Cono e Dragofosso, come recita la lettera testamentaria:

Anno Domini 1668 die 7 Dicembris
Don Franciscus Marius Trigona, civitatis Plachae, abitator clarissimae urbis Catanae Dominus huius terrae Misteri Albi aetatis suae annorum triginta quinque, in dicta urbe Catanae, in domo sua animam reddidit Deo, cuius corpus fuit a dicta urbe translatum in hac praedicta terra Misteri Albi et sepultum fuit in hac Matrice Ecclesia

Ma le spoglie di Francesco Mario, il cui nipote omonimo sarà il primo a fregiarsi del prestigioso titolo di Duca di Misterbianco, non riposarono in pace a lungo: appena tre mesi dopo diversi moti tellurici annunciavano l'apertura di una fessura sul fianco dell'Etna, dalla quale si riversarono 16 km di lava, da Nicolosi fino al mare, distruggendo e seppellendo ciò che essa incontrava lungo il cammino e condizionando inesorabilmente la vita degli etnei. Il 10 marzo iniziò la formazione del cratere che prese il nome di Monti di la ruina, oggi noto come Monti Rossi, e l'indomani la lava raggiunse e distrusse Misterbianco, schivando appena qualche abitazione rurale e la chiesa degli Ammalati.

Epigrafe posta al di sotto dell'olivo ultra centenario.
La lentezza del fronte lavico, che da marzo solo a luglio raggiunse il porto di Catania, permise comunque ai misterbianchesi di salvare tutto ciò che fosse stato facilmente asportabile, ma il panico fu tale che la gente si disperse tra le campagne senza una meta precisa, così il canonico della chiesa madre fece appendere la campana bronzea della chiesa madre, opportunamente salvata, sul ramo di un vecchio olivo per chiamare a raccolta i cittadini. L'olivo, miracolosamente sopravvissuto alla lottizzazione selvaggia, è noto popolarmente col nome di Aliva 'mpittata e si trova non lungi dal sito della vecchia città scomparsa.

Interni del campanile.
La città venne ricostruita sin dal mese successivo, a partire dalla chiesa madre, eretta ad imitazione del tempio più antico. Questa è ancora oggi esistente, sebbene abbia persa il suo primato civico ed è intitolata a San Nicola.
La lava poi, raffreddandosi, offrì uno spettacolo inquietante e spaventoso, ma tra le sciare si vide un fenomeno piuttosto singolare che caratterizzò a lungo il sito. In mezzo alla roccia si ergeva ancora integro l'antico campanile della chiesa madre, come un faro che coraggiosamente si oppone ad una dragunara di petra.
Il fascino crollò con il sisma del 1693 e le macerie ostruirono quell'unico passaggio verso un mondo adesso sotterraneo.

Il campanile così diruto prese facilmente il nome ad oggi rimasto: Campanarazzu.

Confronto tra la planimetria ipotetica
e la planimetria reale
Nel corso dei secoli non mancarono ardimentosi ragazzi che si cimentavano nell'impresa di incunearsi tra le rocce dell'infausta colata. Questi raccontavano di meraviglie cui nessuno voleva credere. Vi fu poi negli anni '80 chi arrivò ad intuirne l'integrità del pavimento e alcune foto ritraenti i resti di colonne finemente decorate concretizzarono l'idea che l'edificio fosse ancora esistente e si potesse liberare dalla lava. Si abbozzò anche una planimetria, basata prevalentemente sul confronto con la chiesa di San Nicola e sulle varie esplorazioni speleologiche di quegli anni. Tale planimetria però si rivelò in parte errata.

L'antica chiesa di Santa Maria delle Grazie
(gennaio 2016).
Sulla base degli indizi fin lì raccolti, una associazione locale, Monasterium Album, sorta appositamente allo scopo di recuperare la memoria civica recuperandone i monumenti e fondando un museo, riuscì a convincere gli enti interessati - ai tempi la Provincia di Catania - ad inaugurare quella che divenne una lunga campagna di lavori che ha messo in luce l'intero impianto ecclesiastico, con l'obiettivo di renderlo fruibile e creare così una nuova e imperdibile risorsa del territorio, con l'idea che gli stessi misterbianchesi possano esserne attenti custodi ed estimatori.
Contestualmente ai lavori di sgombero si provvide alla creazione di un giardino civico con ampio parcheggio annesso, nella previsione di creare un grande parco comprendente le sciare, i ruderi e un grande querceto secolare scampato alla furia della lava.

Il sagrato cinquecentesco della chiesa,
combusto dalla lava del 1669.
Il cantiere ha messo in luce l'intero perimetro, nonostante buona parte delle pareti vennero distrutte fino a quasi un metro da terra, salvo alcune importanti eccezioni, come le due profonde cappelle che conferiscono una insolita planimetria all'edificio o il presbiterio, conservati praticamente fino all'imposta del tetto.

Davanti alla facciata si rinvenne persino l'originale lastricato a gradoni in pietra da taglio e ciottoli, costituente il sagrato della chiesa, mentre del portale sono emersi i basamenti degli stipiti, finemente scolpiti.

Gli stessi a loro volta hanno restituito numerose testimonianze di fede, sintetizzate dall'incisione di nomi, lettere, simboli, tra cui la più ricorrente è la croce.
Basamento dello stipite di destra.

Una delle maggiori sorprese fu il ritrovamento di un magnifico portale bicromo, databile al primissimo rinascimento catanese (metà del XV secolo).
Si tratta di una porta costituita da due alti stipiti lisci in pietra lavica che reggono un arco in pietra calcarea di possibile estrazione iblea.

Due pseudo-capitelli serrano l'apertura ai suoi lati, decorati a toro e scozia. Su questi si appoggiano altrettanti mensoloni triangolari che reggono un cornicione il quale chiude l'arco. Il cornicione riprende il motivo dei capitelli, cui aggiunge una processione di dentelli che seguono la curva dell'arco.
L'intradosso presenta una incavatura che ne mette in risalto il bordo bombato.

Questa tipologia di portale, sebbene indicato da alcuni quale di gusto tardo-gotico, andrebbe piuttosto inquadrata già nel rinascimento, specie se confrontata con gli analoghi esempi nella Cappella Bonajuto a Catania, dove è possibile apprezzare un processo formale che conduce al tipo del primo Cinquecento. Un portale pressoché identico, va ricordato, venne recuperato per organizzare l'ingresso all'incavo che conserva i resti della omonima chiesa di Mompileri.

Altare di Sant'Erasmo, inizi XVII secolo.
All'interno dell'edificio si rinvennero alcuni altari pressoché integri, sebbene con vistose tracce di combustione, mentre di altri si trovarono solo macerie.
Con molta pazienza i frammenti architettonici sparsi sono stati recuperati e, capitane la disposizione, se ne sta iniziando il montaggio e l'integrazione dei frammenti perduti.

Originariamente dipinti - rimane anche un affresco secentesco rappresentante forse Sant'Antonio Abate - gli altari erano tutti inquadrati in macchine rinascimentali rievocanti gli archi di trionfo romani.
Vale la pena ricordare l'altare di Sant'Erasmo, su cui vi era un incavo in cui si incastrava la statua nimbata del santo, evidentemente asportata durante il corso dell'eruzione, il quale era riccamente decorato con un trompe-l'oil rappresentante un balcone e la volta celeste resa da un amalgama di puttini.

Poco prima del presbiterio si trovavano le due grandi cappelle del Crocifisso e di Santa Maria delle Grazie.

La Cappella del Crocifisso, grazie allo studio di alcuni carteggi, è datata al 1628, poco prima pertanto la vendita del casale al mercante Massa.

La cappella era anticipata da un ricchissimo e prezioso pavimento in ceramica smaltata che trova utili confronti con i materiali rinvenuti nella cosiddetta Casa del Terremoto a Catania e databile alla metà del XVII secolo. Questo pavimento taglia il regolare tessuto delle mattonelle esagonali, tipiche nel catanese rinascimentale, creando di fatto un ampio sagrato che anticipa la cappella, il quale aspetto doveva somigliare ad un prezioso tappeto. Si potrebbe supporre l'esistenza di un cordolo o di una balaustra lignea che ne seguisse l'andamento. Tali attenzioni permettono oggi di capire quanto il culto al Crocifisso fosse particolarmente sentito in quella Misterbianco secentesca.

Cappella del Crocifisso (1628).
L'ingresso alla cappella era costituita da un ricco vestibolo rinascimentale, ancora una volta replicante il motivo dell'arco trionfale, stavolta più ampio e maestoso rispetto alle strutture degli altari laterali.
Ai lati dell'arco erano due semicolonne binate, su basi finemente decorate da motivi fitomorfi, fito-antropomorfi e rappresentanti bizzarre creature, dal corpo scanalato e di ordine corinzio.
Tra le due colonne era ricavata una finta nicchia con un altorilievo figurato. Le due statue in pietra, malta e stucco rappresentavano i santi Pietro e Paolo.
Dalla cappella si giungeva ad un vano, forse un piccolo oratorio, vista la presenza di una piccola nicchia sulla parete nord.

Cappella di Santa Maria delle Grazie (1628 ca.).
Fronteggiante ad essa era la Cappella di Santa Maria delle Grazie. Questa, per analogia stilistica, non può che essere databile allo stesso periodo della precedente.

Anche questa cappella era inquadrata all'interno di un ricco vestibolo finemente decorato nei cui lati erano ricavate due nicchie strette tra le colonne binate con rispettivi santi raffigurati al loro interno.
A differenza della cappella del Crocifisso, questa era costituita da una nicchia piuttosto che da un profondo vano, al cui interno era alloggiata la magnifica opera plastica gaginesca rappresentante la Madonna delle Grazie, asportata in tempo dai misterbianchesi e preservata dalla lava.
Ai lati dell'altare vi era un percorso costituito da gradoni, utile per il raggiungimento devozionale della statua.

La Cappella Gotica.
Gli ultimi finanziamenti importanti hanno concesso l'esplorazione e la liberazione di un vano fin lì insperato, ubicato alle spalle del nicchione entro cui era il simulacro della Madonna.

Questo vano dovette essere l'originaria cappella delle Grazie, chiusa in un secondo momento per ragioni logistiche o strutturali, da cui venne asportato il simulacro rinascimentale intorno al primo Seicento.
L'ambiente ha restituito gli originali fasci di colonnine con relative basi e capitelli, nonché un accenno di costolonatura, di squisita fattura Gotica, appartenente ad un gusto piuttosto raro in Sicilia, citando pienamente l'eleganza francese.

D'altro canto il Gotico è citato apertamente dalla presenza di un achtort, una stella ad otto punte che costituiva un insolito ingresso ad una delle sepolture decorato da semplici scanalature, un simbolo molto forte e rinforzato dal trovarsi di fronte all'altare del Santissimo Purgatorio.

La stella a otto punte, infatti, costituisce come l'analoga forma dell'ottagono la figura intermedia per eccellenza tra il quadrato - che nella simbologia medioevale rappresenta il mondo materiale - e il cerchio - simbolo invece del mondo ultraterreno - acquisendo pertanto il significato del passaggio tra la vita terrena e quella ultraterrena.

Questa magnifica bocca per le sepolture non è a sola a presentare un bordo decorato, alcune riprendono lo stesso semplice motivo, altre invece mostrano elementi di raffinata eleganza attraverso motivi incisi su lastre di marmo.

Muro del pulpito.
Vale la pena infine evidenziare altri elementi messi in luce dai lavori di sgombero dalla lava del 1669, come per esempio un alto zoccolo che circonda il presbiterio, forse base per un coro ligneo.

Questo seguiva l'andamento della parete che è stata rinvenuta piatta e non , come si ipotizzava curva in un cappellone, circondando poi con una gradinata l'altare centrale.

La parete sud del presbiterio ha restituito anche la scalinata in muratura che raggiungeva il pulpito, addossata alla parete ovest della cappella del crocifisso, oltre alla porta che doveva condurre fuori o in altri ambienti perduti, murata come meglio si poté con rocce poste alla rinfusa, nella speranza che la lava non arrivasse ad entrare.


Frammenti lapidei da Campanarazzu, all'interno del Museo di Arte Sacra di Misterbianco.

mercoledì 21 ottobre 2015

Urbanfile si è rinnovato

Era domenica 9 settembre 2012 quando abbiamo postato il primo "articolo" su Urbanfile Milano Blog. Da allora siamo cresciuti, abbiamo aggiunto altre città, creato un aggregatore. 

Oggi è giunto il momento per un rinnovo totale della nostra pagina: mettiamo ordine e cresciamo ancora un po' confermando le nostre attività "storiche" e inserendone altre che ci auguriamo vi piacciano.

Speriamo davvero che possiate apprezzare il nostro nuovo volto che ci consentirà di essere più moderni senza discostarci troppo da quello che siamo.

Nel week-end partirà la nostra nuova pagina del Blog curata da Arachno, dove raccoglieremo le nostre pagine in un unico sito. 

Continuate a seguirci sul nuovo Urbanfile Blog!





lunedì 5 ottobre 2015

Storia di ordinaria imbecillità: Alfano a Catania

Alfano a Catania (FONTE)

Angelino Alfano torna a far danni.
Il già discutibile, discusso e improprio ex Ministro di Giustizia, nonché altrettanto Ministro degli Interni ed ex vicepresidente del Consiglio, noto per la sua partecipazione in un matrimonio per nulla istituzionale ai tempi dell'ARS (sebbene, a suo dire, egli fosse ivi presente per l'amicizia con lo sposo e che della mafiosa famiglia della sposa non conoscesse alcuno), nonché per già altre interrogazioni parlamentari, giunge a Catania in una sfarzosa e scomoda festa di San Michele, scomoda perché politicamente fuori luogo e fuori contesto, visti i tagli che le Forze dell'Ordine hanno dovuto subire in un periodo di crisi che - a quanto pare non per tutti - stenta ad essere superata.
E già che c'è partecipa ad una festa non istituzionale per l'inaugurazione di un ristorante in centro, aperto in via Antonino di Sangiuliano.
Nulla di male essere ospite ad un evento privato. Ma magari fosse stata senza auto blu, scorta armata e rimozione forzata e ingiustificata delle automobili in sosta in tutta l'area orbitante piazza Manganelli si sarebbe anche potuto concedere. Peccato che il Ministro degli Interni - non sappiamo quanto di sua stessa richiesta - sia stato ricevuto come un capo di Stato in visita ufficiale. Ma la notizia è vecchia. E il danno assieme alla beffa pure.
Ma non contenti della prima beffa a danno dei catanesi, le istituzioni persistono in una vicenda che se non fosse reale vi sarebbe da ridere per la ridicolaggine,
Il Viminale ha emesso una nota dai toni per nulla istituzionali e per nulla leggeri, quelli tipici di chi ha il dente avvelenato o il carbone bagnato:
Ora ci limitiamo a dire che è un classico caso in cui la malafede, per eccesso, sconfina in imbecillità. Valuteremo azioni legali risalendo a chi ha per primo dato la notizia e a chi l'ha diffusa.
La nota si commenta da sé.
Un procedimento legale è nel frattempo partito: l'interrogazione parlamentare del deputato Walter Rizzetto su un gesto che definire grave costituisce una riduzione dei termini, nei confronti di Alfano. Il quale ricordiamo non essere nuovo ad accuse istituzionali (come quando fece togliere la videosorveglianza nei pressi dell'abitazione di un pm che ricevette minacce di morte), quasi tutte evidentemente passate nel dimenticatoio.
Buffo notare quanto il ministero che dovrebbe gestire l'ordine pubblico, per un assurdo paradosso sta lì a creare disordini.

martedì 4 agosto 2015

Lettera sull'incendio del Viale Africa

Il rogo all'ex Raffineria;
foto di MeridioNews (FONTE).
Riceviamo questa nota dal Comitato Antico Corso:

Da mesi partecipiamo ad una "fabbrica" cittadina con impegno (nostro e di molte altre organizzazioni) costante senza che, tuttavia, si riesca a far rientrare nella discussione del cosiddetto "decoro" alcuna delle tematiche che darebbero senso ad una VERA politica di Rigenerazione urbana, di strategia economica e di sviluppo urbanistico oltre che condiviso, logico e rispettoso dei termini ambientali su cui il presente Papato,  gli Stati Uniti e la stessa Cina sembrano aver preso coscienza dell'emergenza.

Prevalgono invece logiche di dissipazione delle risorse, ulteriormente discriminatorie ed anti solidali, dove ancora una volta il bene pubblico diventa indisponibile per qualsiasi politica sociale ed atto solamente ad una infinita sequela di appalti in successione per ripristinare il ripristino ed il ripristino del ripristino in una fornace che divora Milioni di Euro e brucia risorse diversamente utilizzabili per garantire i diritti essenziali ai cittadini e, in una doverosa dimostrazione di civiltà, anche degli occasionali immigrati.

La scuola passa in terz'ordine (e nel centro storico abbiamo un recente esempio), la Sanità diventa un lusso e la possibilità di prevenzione cala ogni giorno di più.

Il rogo dell'area di Viale Africa è l'ennesima dimostrazione di come il denaro dei cittadini sia tenuto minimamente in considerazione.

La discussione sull'assegnazione dei beni pubblici langue nella palude delle piccole unità e nell'esercizio della “anticipazione pittorica” (oggi si chiama Rendering, così il cittadino, ingenuamente, crede di trovarsi davanti a qualcosa di tangibile) mentre per i grandi spazi si lascia che accadano tutte le fasi del degrado: mancato completamento, mancata utilizzazione, mancata sorveglianza, mancata pulizia, fino alla perdita totale e la assolutoria formula: concesso a…., in genere altra potente istituzione in grado di ricambiare favori, ed ogni obiezione viene spenta con un: “Allora era meglio lasciarla in abbandono?” Era così che nel passato la nobiltà depredava i beni altrui?!

Intanto Catania, la tanto decantata città delle "emozioni", il "treno della Sicilia",La Milano del Sud", la quintessenza dello spirito di iniziativa, dimostra solo di avere una grande entropia disordinata, caotica ed assolutamente inutile in un mondo di cui Catania non fa parte, da tempo: un mondo in cui si programma nell'interesse pubblico, non solo di quello privato. Una città che pur investita da un flusso migratorio non ha saputo, né voluto organizzare una vera politica dell'accoglienza e non essendo in grado di convertire i grandi contenitori in alloggi di emergenza, pensa di prendere l'ultimo treno dei Fondi Europei della misura 3.03 FSE per dare avvio a nuovi cantieri e cementificare quanto rimane della Plaja (altro che cemento zero).

Domina una logica di rapina del territorio e di depauperamento dei beni indisponibili al solo fine di fare "cassa" e neanche una "cassa" per gli investimenti, ma solo per colmare i buchi correnti che continuano, ovviamente, ad aprirsi ad una velocità maggiore di quanto non si richiudano.
Permane una logica della programmazione "consuntiva" senza tenere minimamente in conto che i disoccupati crescono in maniera vertiginosa e che il reddito pro capite è sicuramente dimezzato, in questo contesto cresce solo l’economia che non conosce e non rispetta le regole.

Intanto l'amministrazione pensa di risolvere i propri problemi economici chiedendo altro denaro ai cittadini sotto forma di balzelli e tariffe esorbitanti, mentre elargisce premi di produzione a funzionari vari (vorremmo sapere per quali risultati evidentemente non pubblici). Non abbiamo visto finora, nel concreto una vera politica di razionalizzazione della spesa, né delle scelte che mitighino le crescenti diseguaglianze, le risposte fornite , dai soldi alle regole urbanistiche,sono incomprensibili alla maggioranza dei cittadini a causa del linguaggio strettamente TECNOCRATICO: la mancanza di chiarezza lecitamente spinge a dubitare della correttezza delle scelte!

Per finire riteniamo sia utile ragionare sul fatto che termini significativi quali “partecipazione” e “ innovazione” siano entrati nel lessico corrente dei detentori del potere che, pur non condividendone i significati di democrazia compiuta, ne abusano l’uso in maniera fuorviante: sviluppo partecipato, rigenerazione urbana, processi di gestione condivisa, etc.. hanno per essi il valore del “passpartout” , mentre di fatto nessuna innovazione, nessuna rigenerazione, nessun processo partecipativo sono stati messi in campo, solo annunci.

Forse è il caso che i cittadini attivi cambino o cancellino queste parole dai discorsi per restituire forza ai principi veri.
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