Carlo Crivelli, Santo Stefano (1476). |
In
un precedente articolo (Un tetto per pregare: la lunga storia della Moschea della Civita) abbiamo sintetizzato brevemente una storia
relativa alla poco conosciuta comunità islamica catanese del
passato, il cui principale quartiere è stato a lungo ritenuto
presso l'odierna Civita.
In
tale occasione abbozzavamo anche un riferimento alla comunità
greco-ortodossa cittadina che, seppur poco documentata anch'essa,
dovette esistere anche dopo la conquista Normanna e la relativa
imposizione del culto latino. Con questo nuovo articolo non abbiamo
la presunzione di dare un contributo alla ricerca storiografica su
Catania, ma vogliamo ancora una volta partire da lontano per
accennare ad un evento di – relativa – attualità che,
speriamo, non mancherà di suscitare nel lettore una piccola
nota di compiacimento.
Il
primo culto cristiano in Sicilia si vuole nientemeno che all'apostolo
Paolo che giunse sull'Isola con intenti di proselitismo. Un precoce
fenomeno si avrebbe a Messina con una lettera – mai riconosciuta
ufficialmente dalla Chiesa – inviata personalmente da Maria ai
messinesi (che la venerarono quindi come Madonna della Lettera). A
Catania è Berillo a portare, nel lontano 42, il culto.
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Notizie
più approfondite ci giungono dal III secolo in poi: nel
periodo di massima romanizzazione della città si registra
anche un notevole aumento della diffusione del culto. Oltre Agata, la
santa patrona della città, emergono Euplio, Everio, Comizio,
Serapione, Magno, Secondino e altri. Costoro testimoniano certamente
un aumento del numero dei cristiani catanesi.
Il
dato archeologico permette l'acquisizione di elementi più
precisi a partire dal IV secolo, dopo quindi l'Editto di Costantino
che permise il libero culto ai Cristiani. Appartengono a questo
periodo le prime tracce certe dell'arte paleocristiana, in
particolare le numerose necropoli situate a nord delle mura, nonché
l'epigrafe di Iulia Fiorentina, bambina sepolta presso il
“sepolcro dei martiri catanesi”, indice diretto della presenza
alla fine del IV secolo di un martyrion a Catania.
Una
incognita piuttosto singolare è costituita dal sito
archeologico delle Terme della Rotonda. In antico si credette di
riconoscervi un pantheon pagano convertito al culto cristiano
nel 42 da Pietro, almeno fino alla conferma che le strutture più
antiche appartennero a strutture termali (Libertini) e del
chiarimento che l'alzato appartenga ad un periodo certamente più
tardo di quanto la tradizione non voglia da parte degli studi più
recenti. Potrebbe venire messa in dubbio persino l'originaria
funzione di chiesa, visti i plausibili confronti planimetrici con
altre strutture. L'abitudine di edificare chiese sfruttando le
preesistenze termali non si limitò alla Rotonda, ma coinvolse
anche altri edifici di culto come la cappella che venne eletta a
nuova Cattedrale di città, risalente al VI secolo e ritrovata
al di sotto del presbiterio dell'attuale Duomo.
Nel
corso del VI secolo il Cristianesimo appare la religione dominante in
città, stando anche ai carteggi di Gregorio Magno che – per
la tradizione – fondò il monastero di Sanctae Mariae
Novalucis presso le mura. L'archeologia può confermare
la diffusione del culto grazie alle numerose necropoli attestate per
i secoli dal IV al VII. Dai titoli delle chiese più antiche
appare evidente la diffusione del culto orientale, nulla di strano
essendo la Sicilia ancora fino al 965 un thema bizantino,
ancor meno strano considerando poi la presenza dell'Imperatore
Costante II a Siracusa nel 668.
La
presenza di una Porta Ariana in città, sostituita dalla
Porta della Decima, e la figura di Leone II detto il Taumaturgo
(celebre iconoclasta) tradiscono una certa presenza di eretici
in Catania i quali dovettero certamente scontrarsi con il detto
Leone, figura fortemente ortodossa e rigorosa.
Matteo Desiderato, San Leone taumaturgo che sconfigge il mago Eliodoro (seconda metà del XVIII secolo). |
Un
caso anomalo è costituito dalla chiesa del Salvatorello, un
edificio a trifoglio identificato quale luogo di culto cristiano,
orientato però a nord piuttosto che ad est (diversamente da
quanto ci si possa aspettare) e presentando soluzioni tecniche di
matrice non cristiana, come le colonne alveolate. Diverse ipotesi
collocano variamente la realizzazione dell'edificio al VII-VIII o al
IX-X secolo. L'impostazione in pianta ricorda molto da vicino il
Triclinium romano, ma l'elevato tradisce soluzioni tecniche
decisamente innovative.
La
crisi del culto greco, per assurdo, avviene solo a seguito della
riconquista cristiana avvenuta con i Normanni, gli “uomini
del Nord”, che vada piuttosto letta come un tentativo da parte di
Roma quale dimostrazione della sua superiorità tra i
Patriarcati, in particolare su Bisanzio, rea di aver rifiutato un
confronto e aver causato il longevo scisma.
In
Sicilia è tangibile una certa intolleranza da parte delle
comunità cristiane nei confronti del nuovo invasore, molto più
che da parte di quelle islamiche o ebraiche. Il Val Demone appare
quello di più difficile gestione, al punto da essere l'unica
entità territoriale a mantenere – almeno nominalmente –
quelle figure bizantine quali l'archimandrita, il catepano, lo
strategoto. Catania era situata entro il confine di detto Vallo, ma
qui la diatriba tra i due culti si accese vivacemente al momento
della istituzione della nuova diocesi retta da Ansgerio. L'elemento
latino fu dunque impostato a Catania quale baluardo del Patriarcato
di Roma, mentre ancora nell'entroterra persistevano i retaggi del
culto orientale. Un buon compromesso sarebbero stati poi gli ordini
eremitici, in particolare quello Benedettino, che accoglievano
indistintamente membri delle due forme di culto, latina e greca,
assorbendo quest'ultima.
In
città il culto per Agata giustificò un “sentire
comune”, così il tempio principale – originariamente
sarebbe dovuto essere dedicato a Maria – fu sede del culto della
giovane catanese morta sotto Quinziano. Ma esistevano ancora alcune
tracce del culto greco, attestato in modo del tutto inusuale ancora
nel XII secolo.
Uno
di questi è il controverso tempio di Santo Stefano, demolito
nel 1355 per l'ampliamento del convento di San Benedetto ricavato
nella casa del conte di Adernò, da quell'anno sede del piccolo convento delle Benedettine. Di questa
chiesa, eretta in luogo – si dice – del vetusto tempio di
Esculapio (la notizia appare piuttosto inverosimile, vista la natura
suburbana dei santuari dedicati al dio della Medicina in antico),
rimasero la porta di fronte alla facciata della settecentesca chiesa
di San Benedetto, l'altare maggiore e una lapide ricordante data di
erezione e mandante. Su questa lapide, secondo la storiografia antica
che si appoggia a una certa tradizione che vede tal Arcadio quale
costruttore, sarebbe riportata la data di costruzione quale 1°
luglio 679. Ad una più attenta analisi moderna
(Boschi-Guidoboni 2000) invece si tratterebbe della data bizantina 1° aprile 6679 (dalla Creazione), ossia il 1171, e si tratterebbe della
rifondazione da parte di Arcadio. La lapide purtroppo venne distrutta
durante il bombardamento alleato del 1943 e di essa conosciamo solo
il rilievo che ne fece nel Settecento Vito Maria Amico. Tuttavia, se
fosse confermata l'interpretazione odierna, avremmo una serie di dati
non trascurabili. Anzitutto la dedica a Stefano protomartire
chiarifica un forte legame col culto greco, confermato dal conteggio
bizantino degli anni. Questo sarebbe dunque un indice di
sopravvivenza della comunità greca anche sotto Guglielmo II,
dunque per tutto il periodo normanno della città. La sua
centralità, in un sito di estrema importanza per il culto
civico (la memoria storica di una via sacra che univa la
piazza pubblica con l'acropoli) al punto da attirare nel 1555
l'interesse dei Gesuiti, ma in anni precedenti anche francescani,
cassinensi e altri frati minori, fornisce un indizio relativo al peso
politico che la comunità cristiano-orientale aveva per la
città. Non a caso la patrona di Catania è una martire
dei primi secoli, venerata da entrambe le parti religiose. La
presenza del culto dell'Odighitria a nord-ovest tempio della Rotonda
ad ovest e della vecchia sede della cattedra, la Vetere a nord che
ricordiamo subì un notevole declassamento con l'erezione della
nuova cattedrale a sud, ci permette di ipotizzare che il quartiere
compreso tra le attuali vie Antico Corso, Manzoni, Cappuccini e
Teatro Greco fosse a maggioranza greca.
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Nel
1239 inizia la costruzione del maniero federiciano di cui abbiamo in
parte avuto modo di trattare in precedenza. Sulla faccia della torre
delle bandiere (nord-ovest) vi è realizzato a mosaico, oltre
ai menorah ebraici, il segno della croce nel cerchio con
quattro punti nei quadranti. Si tratta della croce solare unita alla
croce di Gerusalemme. Analogamente a quanto avviene dal III al VIII
secolo riguardo il Cristogramma (impropriamente detta Croce
di Costantino e formata dalle lettere greche Χ e Ρ),
l'inserimento all'interno del cerchio rappresenta il riconoscimento
della natura spirituale del Cristo, a differenza del quadrato che ne
denota invece una natura terrena. Il simbolo rilevato dunque
apparterrebbe non solo ad una comunità greca operante a
Catania nel secondo quarto del XIII secolo, ma potrebbe anche
testimoniare il perdurare delle comunità religiose altrove in
Sicilia ben documentate sin dal IV secolo.
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Le
testimonianze dei “Greci” di Catania sfumano poi durante il XIV
secolo, dopo gli eventi della Guerra del Vespro. Una chiara
dimostrazione sta proprio nella detta chiesa di Santo Stefano
Protomartire, demolita senza troppi problemi per far spazio alle
monache di San Benedetto, pertanto essa dovette già essere
abbandonata e forse pericolante. Altre chiese vennero rimaneggiate,
adeguate a nuove forme di culto o divennero sede di nuovi ordini
religiosi più tipicamente occidentali (Teatini, Agostiniani,
Minori etc.). Il caso della Rotonda è piuttosto evidente, con
la chiusura del deambulacro settentrionale, l'apertura dell'ingresso
a ovest (come più tardi sarà fatto per la chiesa del
Salvatorello), l'adattamento ad altare principale del nicchione
orientale. La chiesa dell'Odighitria, pur mantenendo il titolo, viene
ricostruita in pianta longitudinale poco oltre i ruderi della chiesa
originale (distrutta dal sisma del 1169 e anche questa eretta sui
ruderi di un antico bagno).
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Appare
evidente che non c'è spazio per il culto greco in quel XIV
secolo siciliano, diviso tra le fazioni catalana e latina, entrambe
portatrici di culti occidentali. Si può ipotizzare che parte
dei chierici orientali si fosse già da tempo adattato alla
convivenza entro l'ordine di San Benedetto, il cui protettore Nicola
è indubbiamente tra i santi più venerati in Oriente. A
questo proposito è bene ricordare quanto il nome Nicola sia
particolarmente diffuso nella Sicilia medioevale, sintomo di una
discreta resistenza o perlomeno di una lontana eco delle comunità
greche. Un caso degno di menzione è la figura leggendaria di
Colapisci (Nicola il Pesce), il cui nome è generico
volutamente, così che chiunque possa pensarne una veridicità
perché tra i tanti che si chiamano in tal modo ce ne può
essere stato uno così straordinario da vivere come un pesce,
appunto. Inoltre l'aderenza con un nome diffuso permette anche
l'identificazione del personaggio con l'intera popolazione, assumendo
dunque il ruolo dell'eroe classico che per catarsi assume su di sé
le responsabilità dell'Uomo per salvarlo da fine certa.
Colapesce, nel candelabro di sud-est di piazza Università, opera del Lazzaro. |
Ma
l'edificio che suscita il nostro interesse attuale è la chiesa
di Santo Stefano Protomartire di Dagala del Re, un rudere datato
dagli storiografi al V-VI secolo o al VII-VIII secolo, in pianta a
trifoglio come la chiesa del Salvatorello a Catania, ma con
orientamento ad est e priva di colonne alveolate. Questa dunque
potrebbe essere precedente all'esempio catanese. Intorno al XIII
secolo si dota di un ampio nartece che riprende in parte il gusto
delle preesistenze, senza però rispettarne la volumetria. Può
essere letto come un tentativo di riappropriazione degli edifici di
culto orientale da parte delle comunità Greche? Appaiono pochi
significativi dati in tal proposito. Il suo abbandono sarebbe
databile al 1284, anno in cui una eruzione dell'Etna distrusse il
casale sorto tutto intorno alla chiesa. L'edificio, non più
mantenuto e curato, rovinò pietosamente e i suoi ruderi
divennero presto un curioso agglomerato di pietre appartenenti ad un
grande feudo coltivato, su cui qualche pastore che lo usava come
rifugio poteva vederci qualche sparuto ed isolato affresco. Caduto
nell'oblio della lottizzazione, il feudo cui appartenne passò
a più mani e si trovò ad essere spezzettato e coperto
da fabbriche sovente non coerenti. Il rudere appare facente parte di
un giardino privato nel corso del XX secolo e solo negli ultimi anni
il Comune di Santa Venerina ha nutrito interesse nei confronti di
questo importante testimone della storia architettonica del
territorio. A gennaio di quest'anno si sono potuti finalmente
cumulare i 25 mila euro necessari all'acquisto del terreno e della
chiesetta, con l'intento di renderla patrimonio pubblico, creare un
parco intorno ai ruderi che vedrebbero nell'acquisto il recupero del
documento storico (Dagala del Re, si recupera un pezzo di Storia).
Sezioni E-O e N-S della chiesa di Santo Stefano a Dagala del Re (CT) con ipotesi di ricostruzione. I rilievi sono del Lojacono (1960). |
I ruderi della chiesetta bizantina come si presentano oggi (2013). |
Il nostro pensiero vola rapido ai ruderi della chiesa paleocristiana di San Giovanni presso Palagonia, fino a non troppo tempo fa costretto alla spoliazione da parte di anonimi, ma oggi amorevolmente custodito e accessibile mediante un giardino privato ben tenuto. Sarà tardivo, sarà solo parziale e purtroppo incompleto, ma il recupero della memoria bizantina della Sicilia appare in crescendo.
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Per maggiori approfondimenti sulla Cuba di Santo Stefano a Dagala si rimanda all'articolo La cella trichora di Santo Stefano e l'antico eremo di Dagala del Re, di Giovanni Vecchio.
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