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mercoledì 13 maggio 2015

Nuove pedonalizzazioni, due importanti proposte "dal basso"

Gli eventi del "Lungomare Liberato" e del suo figlioletto, il "Castello Ursino Liberato", entrambi di straordinario successo, hanno fatto vivere a numerosissimi catanesi il piacere di riscoprire aree urbane di pregio senza l'inquinamento, i rumori e il pericolo dati dalla presenza dei veicoli. "Liberato" sta, infatti, per liberato dalla morsa delle auto e dei gas di scarico.

Ma, nonostante queste felici iniziative, Catania è ancora ben lontana dagli standard europei in quanto ad aree pedonali. Il Lungomare Liberato, per esempio, è realtà solamente una domenica al mese (due a giugno, luglio e settembre), mentre nel resto della città le aree pedonali, di ridotte dimensioni, si contano sulle dita di una mano. L'unica vera area pedonale, infatti, è quella compresa tra piazza Duomo e piazza Università, nonostante il passaggio di qualche bus, con piazza Università più protetta grazie alla presenza di dissuasori. Poi vi è l'area del Teatro Massimo, che in realtà è una Zona a Traffico Limitato dove però è florido il fenomeno del passaggio nonché parcheggio selvaggio. L'area della Fiera, ovvero piazza Carlo Alberto e via limitrofe, sulla carta è un'altra ZTL: di fatto, però, no. E così via, passando per via Crociferivia Porta di Ferro/Piazza Cutelli, Largo XVII Agosto (alla Civita), via Zolfatai (nei pressi del capolinea dei bus urbani). Tutte mini aree pedonali o ZTL continuamente violate.

In questo panorama a dir poco desolante, ecco due petizioni lanciate dai cittadini per incrementare le aree pedonali: la prima interessa piazza San Francesco d'Assisi, su cui insiste la bellissima Chiesa di San Francesco d'Assisi all'Immacolata, l'Arco del Convento Benedettino di via Crociferi (Patrimonio dell'Umanità Unesco) e la Casa Natale di Vincenzo Bellini; la seconda riguarda un'altra area di pregio, ovvero parte della piazza Federico di Svevia, compresa tra il Castello Ursino e la Chiesa di San Sebastiano:



Piazza San Francesco d'Assisi

Piazza Federico di Svevia

Vi invitiamo a firmare queste petizioni che, se dovessero sortire l'effetto per cui sono nate, avranno contribuito a migliorare la qualità della vita della nostra città.

Non dobbiamo dimenticare, infatti, che spazi consacrati alla mobilità esclusivamente pedonale e ciclabile non sono un "premio" per aree che dispongono della presenza di monumenti storici o di alto valore paesaggistico. Sono elementi che, in qualsiasi quartiere e in qualsiasi condizione di patrimonio architettonico/paesaggistico, contribuiscono a migliorare la qualità della vita urbana. Naturalmente, è certo, in una visione complessiva della città che sappia ben distribuire gli altri aspetti essenziali quali il sistema del trasporto pubblico, dei parcheggi e del traffico veicolare privato: quest'ultimo non può e non deve prevalere sugli altri.

domenica 23 novembre 2014

Catania è "social reader"

Leggere.
Un'attività che è andata cambiando nel tempo, ma che in fin dei conti rimane sempre uguale. Oggi si parla di e-book, di letture digitali, di Wikipedia e di articoli online. Ma la lettura fa parte del DNA dell'essere umano, sin da quando impara a farlo non può farne a meno, come parlare, camminare o altro.
La lettura diventa un momento rilassante, importante, concentratore, di studio e ricerca. Un gesto semplice, come quello che i nostri lettori stanno compiendo in questo momento - e che ringraziamo per i minuti del loro tempo spesi in questa attività - che inizia sin dal primissimo istante in cui gli occhi si posano sulla parola scritta.

Ma la lettura, per i nostalgici come chi scrive, suscita e rievoca i ricordi di fogli di carta ruvidi al tatto, con quell'odore intenso ed inimitabile di inchiostro impresso sul foglio e un crescendo partecipativo nel processo della lettura, situata a metà tra la scoperta e la creazione: prima ancora dell'invenzione degli interlink, si saltava da un capitolo all'altro, rileggendo quei passi di testo forse troppo frettolosamente scorsi e per questo da approfondire, sviscerare, alla ricerca della chiave per proseguire con maggiore consapevolezza la lettura.
I nostalgici come chi scrive, a Catania, non sembrano essere in via di estinzione. Se da un lato la storica Libreria Prampolini, il cui solo nome è già una porticina nel subconscio capace di aprire parti della memoria mai del tutto sopite, si è salvata dalla minaccia della chiusura grazie all'impegno dei giovani gestori eredi di 120 anni esatti di storia, carta stampata e lettere d'inchiostro, dall'altro lato in città improvvisamente è un rifiorire di luoghi preposti alla lettura, al confronto, al "social-reading" o, per meglio dirlo, al dibattito che la lettura del libro scaturisce.

Ecco che accanto a realtà recenti già ben avviate come l'Herborarium Museum, sotto l'Arco delle Benedettine, dove è possibile leggere mentre si sorseggia un tè o una tisana, si aprono nuove frontiere del libro.
Indileggente, una nuova libreria indipendente sorta alla Civita in via Anzalone, nasce da una associazione culturale che fonde i concetti di "indipendenza" e "leggente", tanto nel nome quanto nel proposito, creando quindi un luogo di incontro tra musica, letteratura, idee. Un luogo confortevole dove ritrovarsi con gli amici dialogando circondati dai libri.
E ancora sulla piazzetta che si affaccia sul Castello Ursino, per precisa volontà dei volontari di Gammazita, sta nascendo la prima biblio-emeroteca all'aperto di Catania, costituita dai libri e dalle riviste omaggiate da chiunque voglia partecipare a questa lodevole iniziativa che porta i libri in strada. Letteralmente. Una riconquista della strada che diventa veicolo della parola scritta e trova già nel titolo - Piazza dei libri - la sua definizione.
I quartieri disagiati cercano nella lettura il riscatto, così nasce la Librineria, che nel gioco di parole fonde Librino e la lettura, iniziativa a quattro mani tra i Briganti Rugby (già noti per aver difeso lo sport nel quartiere) e il centro Iqbal Masih, che ha portato alla creazione della prima (e unica) biblioteca nel quartiere.
Infine la notizia che ci rende contenti, poiché chi scrive la attendeva da qualche anno, l'inaugurazione avvenuta il 22 novembre sera nel quartiere San Cristoforo della biblioteca popolare sorta per la ferma volontà dell'associazione di quartiere GAPA (Giovani Assolutamente Per Agire), grazie ai numerosi contributi spontanei, ma a partire soprattutto da quel primo nucleo economico fornito dall'ex presidente del Tribunale dei Minori Giovanbattista Scidà scomparso nel 2011 e a cui è stata intitolata la stessa biblioteca, scelta compiuta per ricordare il grande impegno del magistrato contro mafia e microcriminalità. La biblioteca è stata costituita in dodici anni in contemporanea con l'acquisizione da parte dell'Associazione del capanno abbandonato ribattezzato "Gapannone rosso", con l'intento sin da subito di costituire insieme alla biblioteca un centro di documentazione sul disagio giovanile, sulla microcriminalità, sulle mafie e sulle pratiche di antimafia sociale. Un polo non solo di cultura e di aggregazione sociale, ma anche un vero e proprio database interattivo per contrastare quei fenomeni di devianza sociale intrecciati con l'emarginazione delle periferie. Leggendo.

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Le immagini di questo articolo sono tratte dal web. I diritti sono dei rispettivi proprietari.

domenica 29 giugno 2014

Capanno abusivo al Castello Ursino?

Non molto tempo fa, addossato ad una delle torri cinquecentesche che circondano la mole del Castello Ursino, sorgeva un capanno in ferro e pietra. Non si tratta di una riconversione di esistente, come palesato dalle foto datate al 2010 e dal confronto temporale su Google Earth (il casotto appare improvvisamente nel periodo che intercorre tra il 16/5/2011 e il 26/3/2012).

La torre e il fossato (ben identificati grazie alle ombre) in data 16/05/2011.
Fonte: Google Earth.
La stessa area il 26/03/2012. L'ombra della torre sparisce ed è sostituita da una estensione della piazza.
Fonte: Google Earth.
Presumiamo che un lavoro del genere non sia passato inosservato e che anzi, possa in un qualche modo essere collegato ai lavori di messa in sicurezza per le misure antincendio il cui cantiere vide la chiusura del maniero esattamente il 16 giugno del 2011. I lavori iniziarono la settimana precedente, con la sistemazione degli impianti del solo cortile e pertanto non era inizialmente prevista la chiusura dell'intera struttura, ma in fase operativa si rese necessaria l'estensione dei lavori all'intero castello interdicendo al pubblico l'accesso.
Come si presentavano la torre e il fossato nel 2010.

La realizzazione del capanno quindi, è con ampio margine di certezza da attribuire all'amministrazione del Castello, che ricordiamo essere sede del Museo civico e pertanto di pertinenza comunale. Il Comune - sono ormai trascorsi tre anni - avrebbe fatto realizzare un capanno addossandolo ad una torre cinquecentesca. Una costruzione che offusca la struttura più antica e occupa una porzione del fossato ad essa coevo. In sintesi, un capanno abusivo.
Il capanno nel mese di novembre 2012.

Dettaglio. La struttura poggia direttamente sulla torre.
Non mettiamo in dubbio l'esigenza del capanno che - visto il momento in cui è sorto - presumiamo essere stato eretto per garantire la sicurezza del Museo, ma viene da chiedersi se era davvero quello il punto ideale dove realizzarlo, se davvero era necessario erigere un capanno addossandolo ad una torre, o ancor più grave se chi di competenza ha stabilito dove realizzarlo abbia ben chiaro che quel muro su cui si addossa vanta oltre 500 anni di storia. Sarebbe davvero paradossale un amministratore che non conosce il valore di ciò che amministra.

La stessa area nel rilievo di Tiburcio Spanoqui edito a Madrid nel 1578.
Per questo chiediamo una replica ai nostri dubbi: si tratta davvero di un capanno eretto per la sicurezza antincendio del Museo? Si sarebbe potuto evitare l'offuscamento della torre cinquecentesca?

A questi dubbi però lanciamo un'altra provocazione. Se il capanno debba stare lì, suggeriamo perlomeno il riconoscimento della torre con un pannello didattico che ne segnali l'esistenza, la storia e la planimetria, affinché il visitatore di passaggio non debba considerarlo un banale muro invisibile, poiché al di sotto della sua visuale.

sabato 26 ottobre 2013

Le meraviglie architettoniche del Castello Ursino celate alla vista

Piazza Federico di Svevia, a Catania, non è un luogo qualsiasi. Nel centro storico della piccola metropoli etnea, giungendo attraverso viuzze strette su cui si affacciano palazzi importanti, quasi a sorpresa ci si ritrova di fronte al grande Castello Ursino, l'imponente maniero del XIII secolo, oggi sede del locale Museo Civico. Un autentico gioiello, già sul piano architettonico, prima ancora che in virtù dei tesori che racchiude. Un gioiello ulteriormente impreziosito, ormai da anni, dalle mura difensive cinquecentesche, riportate alla luce ad est e a sud del castello in seguito a importanti lavori di scavi archeologici che oggi rivelano ancor più l'imponenza del castello, svelandone l'altezza originale in parte colmata dalle passate colate laviche.

Castello Ursino, lato sud

C'è da credere che, in una qualsiasi altra città d'Europa, un sito di tale interesse e magnificenza sarebbe adeguatamente promosso e valorizzato. D'altra parte ci sono altre realtà urbane, in Italia e all'estero, che, pur possedendo molto meno in termini di patrimonio storico ed architettonico, riescono ad esaltare ciò di cui dispongono.

Ma a Catania non siamo ancora bravi in questo. E così, dopo aver segnalato che la Fontana del Ratto di Proserpina è al buio e perfino nascosta da una corriera regolarmente parcheggiata al suo fianco, stavolta tocca al Castello Ursino che, oltre a non essere adeguatamente illuminato nelle ore notturne (eccetto che sul lato nord, da cui si accede all'interno), tiene nascosti alla vista proprio i lati orientale e meridionale, quelli con le mura difensive visibili, a causa di una recinzione decisamente disdicevole, degna più di un cantiere di lavori stradali che di un sito turistico di tale pregio.
La sua struttura a griglia metallica, oltretutto particolarmente alta, concede una visione decente al di là della sua barriera soltanto se ci si pone perpendicolarmente. Ogni tentativo di godere di una stimolante vista laterale prospettica risulterà inopinatamente vano.
Le immagini spiegano bene la situazione più di ogni commento:







Eppure basterebbe seguire il motivo della recinzione bassa e non invasiva già presente sugli altri lati del castello e, in minima parte, già realizzata:



Catania città turistica non può non risolvere banalità del genere. 

venerdì 18 gennaio 2013

Quella pietra senza nome

Con questo nuovo contributo vogliamo far luce su un'altra storia che la città racconta; una di quelle storie che rischia di cadere nell'oblio, se non adeguatamente ascoltata.
La storia che tratteremo lega insieme avvenimenti, quartieri e monumenti in un amalgama che Catania è usuale regalarci, così ci lasceremo trasportare dal racconto che essa ha da offrirci.


La chiave del racconto stavolta è una roccia, un macigno di lava, cui le sapienti mani umane di un tempo indefinito diedero forma di cilindro. Si tratta forse di un capitello romano, il cui stile non è facilmente identificabile (tuscanico? ionico privo di volute? pseudo-egittizzante?), la cui storia ci è nota con certezza soltanto a partire dalla prima metà del XVI secolo.
Siamo nel 1516 e la Sicilia è da circa un secolo sede di Viceré.
La stabilità politica del Regno è fortemente compromessa, e la morte del re Ferdinando II d'Aragona, detto il Cattolico, non rende le condizioni più stabili. Al trono sale Giovanna, detta la Pazza, come tutrice del figlio Carlo, futuro imperatore. La Sicilia, resa provincia spagnola, approfitta del momento di instabilità politica per proclamare la propria autonomia e l'occasione la fornisce il medesimo viceré Ugo di Moncada, valenziano, il quale ottenne la carica per privilegio dopo aver combattuto valorosamente per Ferdinando. Gli sarebbe dovuto succedere Ettore Pignatelli, ma il di Moncada rifiutò le dimissioni. Le alte nobiltà isolane approfittarono della situazione appoggiando il viceré uscente sperando così di incoronarlo re di Sicilia e staccarsi quindi dal dominio spagnolo. Inoltre, appoggiando il futuribile re, avrebbero ottenuto notevoli poteri e concessioni che i sovrani d'Aragona debellarono nel secolo precedente.

Si scatenò una sanguinosa guerra civile che coinvolse l'intera Isola, durata ben tre anni. Catania fu tra le città più agguerrite, probabilmente perché il sistema del viceregno tolse alla città anche il privilegio di capitale. I ribelli si davano appuntamento in un giardino che si trovava presso al piano dei Trixini, ossia “i Terzi”, dove si trovavano i ruderi di quello che non si ebbe difficoltà a riconoscere quale tempio pagano del glorioso passato della città. Tra questi vi erano anche il capitello di cui sopra e un grosso frammento di architrave, entrambi di lava.

Uno dei ribelli tradì i compagni (probabilmente si trattava di una spia, di un infiltrato), i quali, una notte in cui si sarebbero dovuti riunire presso l'antico capitello, trovarono ad attenderli i soldati reali i quali uccisero dal primo all'ultimo tutti coloro che giunsero all'appuntamento. Gli arrestati, non presenti sul posto quella notte, finirono l'indomani sulla forca.

Il capitello, bagnato dal sangue ribelle, prese facilmente il nome di “Pietra del Malconsiglio”, poiché consigliò male i seguaci del di Moncada a darsi appuntamento quella notte.

Il viceré dimissionario, sconfitto dopo tre anni di lotte, ottenne comunque il perdono da re Carlo per i servizi dati alla corona in passato e dal 1522 sarà generale dell'esercito reale. Nel 1527, di Moncada sarà nominato sul campo viceré di Napoli, per fronteggiare i francesi che assediarono la città partenopea. Genova, alleata con la Francia, bloccò i rinforzi con un blocco navale e il viceré affrontò eroicamente la marina avversaria andando incontro alla morte nel 1528.

Nominalmente dal 1517, Ettore Pignatelli fu viceré di Sicilia fino al 1535, sedando nel sangue i tumulti residui.
L'area su cui sorgeva il piano della Fiera, alle spalle della Collegiata.
Si affaccia su di essa il negozio Frigeri (1909) di Tommaso Malerba.
Il capitello venne traslato al Piano della Fiera – il quale si trovava dove oggi è lo slargo alle spalle della chiesa di Santa Maria dell'Elemosina, regia Cappella detta la Collegiata – come monito solenne alla città e ai ribelli non ancora identificati; l'architrave fu posto nella Platea Magna (grossomodo l'attuale piazza Duomo) all'ingresso della Loggia e venne usata per legare i debitori insolventi da frustare. Quest'ultimo pezzo finì nel cortiletto dell'antico monastero di Santa Maria di Nuovaluce, demolito per realizzare il teatro massimo Vincenzo Bellini, ma sebbene molte guide e manuali storici su Catania riportino ancora tale ubicazione, lì di tale frammento non resta più traccia e mancando una descrizione accurata del manufatto non siamo in grado di stabilire oggi dove si trovi. Tuttavia conosciamo un frammento in pietra lavica, costituente la chiave di un grande frontone di un edificio scomparso e ignoto che si addossa alla Torre del Vescovo a fare da base per la venerata Madonna di Lourdes, presso via Antico Corso.

Non abbiamo la presunzione di identificare in questo blocco la pietra perduta, ma è piuttosto significativo che essa non venga menzionata da alcun ricercatore del passato, nonostante la sua notevole mole e il suo fregio.
Chiave di timpano addossato alla Torre del Vescovo.
La sua provenienza ci è ignota.
Del capitello invece sappiamo che dal 1872 tornò dove un tempo vi era il piano dei Trixini, all'interno del secondo cortile del Palazzo Carcaci, l'angolo nord-orientale dei Quattro Canti.

Il piano dei Trixini (Triscini) si trovava dove oggi si incontrano le vie Etnea e Antonio di Sangiuliano e prendeva il nome dalla chiesetta di San Nicola dei Terzi, detta appunto dei Trixini, ossia i frati minori di terzo ordine secondo il siciliano medioevale. La chiesa esiste ancora, nell'angolo sud-occidentale, e viene (venne?) chiamata dai catanesi San Nicolella o addirittura Santa Nicolella, al femminile, diminutivo spropositato di San Nicola, per distinguerlo dalle chiese omonime la Rena e al Borgo.
Portale della chiesa di San Nicola ai Trixini.
La chiesa dei Trixini sentì pesantemente il bombardamento del luglio del 1943. Il convento ne uscì provata e la ricostruzione vide la realizzazione di un più anonimo edificio a più piani sostituire l'antica chiesa di origine medioevale, un pugno nell'occhio del centro storico, oggi sede di uffici e di un celebre quotidiano.

Si recuperò dalla chiesa un bel portale di primo barocco, forse del primissimo Seicento. Tale portale fu inglobato nella (ri)costruenda chiesa di San Sebastiano in piazza del Castello, oggi Federico di Svevia, nel 1955.
La chiesa di San Sebastiano (prospetto del 1955).
Portale del San Nicola ai Trixini.Particolare della lapide che ne ricorda la provenienza.
Sul piano dei Trixini si affacciava anche un magnifico edificio del primo Barocco catanese post-sismico: il palazzo Massa di San Demetrio. Questo fu nel 1694 il primo edificio completato dopo il terremoto del Val di Noto e il primo della ricostruzione post-bellica. Durante la ricostruzione fu la cittadinanza a chiedere a gran voce che l'edificio tornasse com'era prima del bombardamento, forse l'unico caso in cui i catanesi si ribellarono allo stravolgimento del centro storico per una cementificazione selvaggia che dagli anni dello strapotere della DC è imposto a Catania, quanto altrove in Sicilia, al punto da ottenere il rispetto per il decoro precedente.
Lapide di rifondazione del Palazzo Massa di San Demetrio. Vi è riportato l'anno 1694.
Il palazzo dei duchi Paternò Castello di Carcaci sorse l'indomani del sisma del 1693 su un tratto delle mura nord-orientali le quali influiscono sulla struttura interna dell'edificio. Costituito da due cortili ben pavimentati a grossi blocchi di basole laviche e ciottoli, il palazzo fu completato da facciate neoclassiche, mentre gli interni conservano un gusto vagamente medioevale, dettato forse più dalla necessità di costruire in fretta l'edificio riciclando quanto già esistente che per gusto: era infatti costume catanese completare anzitutto la facciata, per poi dedicarsi piano alla volta alla rimodulazione degli interni. Uno scalone neoclassico concedeva, dal lato meridionale del braccio che divide i due cortili, l'accesso al piano superiore; la volta dello scalone venne dipinta con un trompe-l'oile rappresentante trofei e le armi dei duchi Paternò Castello di Carcaci.
Ingresso su via Etnea.

Pavimento in acciottolato.
Vincenzo Paternò Castello, primo duca di Carcaci, sullo scalone d'ingresso.
Nel cortiletto interno, il quale aveva ingresso indipendente sulla piazza Manganelli, si affacciavano fino a metà Novecento alcune botteghe, tra cui quella di un fotografo di cui rimane un intricato ingresso. Qui, nell'angolo nord-ovest, era deposto il capitello, la Pietra del Malconsigio, la cui storia ricordava un triste capitolo della vita passata della città. Chi scrive ebbe modo di vederlo ancora lì prima della sua scomparsa.
Rustica del palazzo Carcaci. Nell'angolo basso a destra era dimenticata la Pietra del Malconsiglio.
L'arco riecheggia lo stile gotico-catalano di Sicilia.
Gli inquilini di Palazzo Carcaci si avvicinano curiosi.
Una vecchia bottega di fotografia in legno, in un dedalo di architetture degno di Escher.
Un giorno imprecisato, intorno al 2009, il capitello infatti venne trasferito, senza notizia, senza avviso, chissà dove.

Lo incontrammo per caso a fare da piantone all'ingresso del Castello Ursino, per singolare coincidenza a fronteggiare la porta della chiesa di San Nicola dei Trixini, come dovette già fare nel 1516. Ecco allora la Pietra del Malconsiglio, sottratta al suo luogo d'origine e posta dove potrebbe avere rispetto: in un museo, anzi, nel Museo Civico, il contenitore per eccellenza della memoria storica della città.
Ma.
Ma come tutti gli altri reperti che ancora si trovano in balia degli elementi nel cortile e hanno anche loro mille storie da raccontare (chissà che non riusciremo ad udirne per il lettore alcuna), si trova all'aperto, senza protezione da possibili vandalismi, senza nemmeno una targa o un cartello che, almeno questo, restituisca al manufatto il suo nome e con esso la sua – seppur tragica – storia.

Lanciamo quindi un'altra provocazione, denunciando l'assenza di una corretta segnalazione per un bene patrimoniale di notevole importanza per la storia di Catania, una città che un tempo si faceva ascoltare.
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