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giovedì 7 maggio 2015

Fermata Bus Amt e parcheggio selvaggio, un matrimonio che non funziona

Negli ultimi anni sono state numerose le segnalazioni, sia in questo blog che in altri media locali, spesso da parte di cittadini esasperati, circa la sosta selvaggia a Catania: fenomeno che sembra inarrestabile, se è vero che ad oggi nulla, purtroppo, è stato risolto.
Tentiamo, ancora una volta, di richiamare l'attenzione su questa "piaga" catanese proponendo, allo stesso tempo, delle possibili soluzioni, in particolare laddove la sosta selvaggia avviene in corrispondenza di una fermata dell'autobus, creando quindi un disagio triplo: ai pedoni, ai mezzi pubblici e al traffico.
Spesso l'unica soluzione possibile è quella di far rispettare il divieto di sosta, sempre obbligatorio in corrispondenza delle fermate dei mezzi pubblici, come ad esempio lungo la via Etnea (dove è già in vigore il divieto di sosta su tutto il lato est della strada, ma evidentemente non rispettato né fatto rispettare).
Tuttavia ci sono numerosi altri casi in cui è possibile mettere in atto alcuni accorgimenti che possono, in qualche modo, sopperire alla carenza dei necessari controlli. Prendiamo, ad esempio, le fermate sud di piazza Trento e di Corso Italia (nel tratto compreso tra via Messina e piazza Europa): anche qui lo spazio delle fermate è spesso usato come parcheggio, con l'aggravante di essere addirittura disposto a spina di pesce nella maggior parte dei casi. Fenomeno che si verifica anche a tarda sera e soprattutto nei fine settimana, per la presenza di chioschi e bar (si sa, il catanese medio "deve" parcheggiare proprio davanti alla meta), quando comunque il traffico non è inferiore a quello delle ore diurne.



Ebbene, in casi come questi basterebbe delimitare la corsia lungo la banchina con dei cordoli, realizzando una breve corsia protetta. L'ampiezza della carreggiata, in entrambi i casi, permette di lasciare ben due corsie al traffico privato nella stessa direzione più un'altra, già esistente, per i mezzi pubblici contromano. Così sarebbe fisicamente impedita, 24 ore su 24, la sosta selvaggia e i bus potrebbero effettuare serenamente la loro fermata. Di cordoli adatti il comune, potenzialmente, dispone già: sono parecchi i metri di cordolo usati impropriamente, infatti, a cui attingere: si tratta di quelli superflui in piazza Borsellino, nei pressi della rotonda di via Alcalà, che prolungano il cordolo in pietra lavica esistente; di quelli usati a mo' di spartitraffico di fronte al parcheggio scambiatore Due Obelischi (dove potrebbero essere sostituiti con fioriere o altro); dei cordoli disposti nel Tondo Gioeni, anche stavolta a prolungamento di quelli in pietra lavica (perché non farli proseguire allo stesso modo, allora, se necessario?).
Quindi basterebbe che il comune di Catania spostasse cordoli di cui già dispone, e impropriamente utilizzati, per proteggere alcune fermate strategiche come quelle sopra descritte. Naturalmente di siti analoghi è facile trovarne anche numerosi altri.
Bisogna ricordare che in via Passo Gravina esiste un lungo tratto di corsia preferenziale protetta da una doppia fila di cordoli, realizzata per il BRT1, e non più in uso da quando è cambiata la viabilità del nodo Gioeni. Anche in questo caso bisognerebbe ottimizzare questo "patrimonio" in cordoli o per lo stresso BRT1, se è definitivo il nuovo percorso lungo il lato ovest della carreggiata (e quindi basterebbe una sola fila di cordoli), o per proteggere corsie troppo spesso invase dal traffico privato: la corsia bus in direzione nord di viale Vittorio Veneto (tra via Gabriele D'Annunzio e piazza Michelangelo, praticamente un parcheggio abusivo per auto) e quella di via Monserrato (continuamente usata dagli automobilisti incivili per superare la fila di auto incolonnate, spesso bloccando l'accorrente bus) avrebbero assoluto bisogno di essere fisicamente protette.
Infine, si ricorda come il dispositivo dello StreetControl, se mai sarà in dotazione alla polizia municipale di Catania, potrà forse rappresentare una svolta nel contrasto alla sosta selvaggia, ma solo se accompagnato da un controllo quotidiano e a tutte le ore su tutto il territorio cittadino.

giovedì 19 marzo 2015

I bagni pubblici di Catania: un breve viaggio nel degrado

Il decoro di una città non è solo la cura e la pulizia delle aree verdi quali possano essere spartitraffico, rotonde, invertitori di marcia o giardini pubblici, né solo la manutenzione - che dovrebbe essere ordinaria - dei luoghi pubblici come piazze, larghi, cortili. Questi luoghi certamente vanno attenzionati, ma esistono anche altri punti che possono qualificare il grado di civiltà di una città. Come i bagni pubblici, ad esempio.
Anni fa esistevano ed erano funzionanti (e tutto sommato anche puliti) a Catania diversi bagni per il pubblico utilizzo disseminati per la città. Dal Giardino Bellini al Giardino Pacini, passando per diverse piazze cittadine. Possiamo presumere essi abbiano iniziato ad essere chiusi per ragioni economiche ("non c'è il personale", in questi casi, è la formula più diffusa), ma non si può fare a meno di notare come questi fantasmi di un tempo passato siano diventati non-luoghi dove il caos, l'anarchia e il degrado regnano sovrani.
In questo articolo denunciamo lo stato di fatto di due bagni piuttosto noti: piazza Cavour e piazza Santa Maria di Gesù.

Un lucchetto che da anni impedisce l'accesso ai bagni di piazza Cavour.
L'elegante disegno della grata protettiva all'accesso dei bagni, vittima di ruggine e di annunci pubblicitari strappati via.
La scala d'ingresso ai bagni, periodicamente invasa dalle foglie secche

I bagni del Borgo appaiono vittima del tempo, con l'intonaco fortemente provato dall'umidità e le ringhiere mangiate dalla ruggine. La presenza di una fitta rete impedisce il formarsi di spazzatura lungo la scaletta di accesso, ma non impedisce alle foglie di accumularvisi. Tuttavia appare evidente un tentativo di costante pulizia, sebbene non è chiaro il motivo del perché si provveda a pulire le scale, ma nel contempo l'accesso sia interdetto.

L'accesso ai bagni femminili in prossimità dell'Ospedale Garibaldi.
Le scale invase dalla spazzatura e il vetro della porta rotto.
Degrado totale.
Le condizioni dei bagni di piazza Santa Maria di Gesù riescono ad essere anche peggiori. Qui l'assenza di manutenzione e pulizia è palese e l'abbandono appare decisamente di vecchia data. La spazzatura giunge quasi fino al marciapiedi, i vetri della porta sono stati infranti da chissà quanto tempo e, cosa ben più grave, il bagno è diventato un ricettacolo di animali da fognatura (blatte e topi) e nessun provvedimento è stato preso, pur essendo l'accesso dei bagni addossato al muro dell'Ospedale Garibaldi. Poco distante un chiosco bibite, il quale certamente subisce una certa influenza negativa da parte della piccola discarica abusiva a pochissimi metri di distanza.
Il decoro di Catania passa anche per questi luoghi, abbandonati e certamente di pessimo impatto per la città, considerando inoltre la loro vicinanza a località di interesse turistico (le chiese di Sant'Agata al Borgo - presente su tripadvisor - e di Santa Maria del Gesù, nonché le fontane di Cerere e della piazza, il Museo di Zoologia in via Androne, etc.).

mercoledì 11 marzo 2015

Piazza Sciascia nel degrado

I catanesi chiamano questo luogo "Piazza Europa lato mare". In realtà questo spazio, che in passato riportava la denominazione di piazzale delle due Americhe, è intitolato da anni a Leonardo Sciascia, il celebre scrittore di Racalmuto, anche se la targa indicante tale denominazione è scomparsa da quando sono stati realizzati i lavori per la realizzazione del parcheggio multipiano interrato "Europa". Ma se il problema della targa mancante è di facile risoluzione (certo, ammesso che si voglia ovviare), ciò che disturba moltissimo è vedere questo spazio pubblico, inaugurato poco più di un anno fa, nel degrado più assoluto.

Prato scomparso, pavimentazione danneggiata, rivestimenti saltati, vetri imbrattati o addirittura rotti, sistema di illuminazione totalmente vandalizzato.
Sembra quasi uno scenario successivo a eventi di guerriglia urbana.




C'era una volta un bel prato verde













Certamente la mano dei vandali è ben visibile.

Circa il prato, non si dica che a Catania non sia possibile mantenerlo perché le vicinissime piazza Galatea e la stessa piazza Europa (l'area compresa nella grande rotatoria al termine di Corso Italia) dimostrano esattamente il contrario. Semmai può essere utile, così come fu fatto per piazza Galatea e piazza Europa, impedire che venga calpestato per parecchi giorni, fin quando non sia ben attecchito. Cosa che non avvenne in questo caso.

La manutenzione della piazza spetta alla gestione del parcheggio Europa. Ci si augura che il Comune solleciti un intervento importante in tal senso: la manutenzione costante è il miglior deterrente contro vandali e graffitari. Insieme con un eventuale sistema di sorveglianza e contando anche sulla collaborazione dei cittadini ma, si sa, la madre degli imbecilli è sempre incinta. Tuttavia la città non può accettare situazioni come questa.

venerdì 20 febbraio 2015

La "Piccola Pantalica Catanese": Le Grotte di Primosole - Terza parte

In fase esplorativa abbiamo identificato tra le Grotte di Primosole un ambiente interamente scavato nella roccia, anticamente articolato in più ambienti, con nicchie (una, magnifica, arcuata) e un pozzo di tipo saraceno (a campana) che permette un orientamento cronologico: si tratta quasi certamente di un ambiente di pertinenza della Mensa Arcivescovile Catanese, relativa ai primissimi anni del XII secolo.

La struttura conserva due camere principali, una molto profonda il cui aspetto rammenta il celebre heroon di Monte San Basilio, mentre l'altra conserva tracce di una trabeazione scolpita nella roccia, segno evidente di una facciata monumentale, logorata dagli agenti esterni. Ipoteticamente, potrebbe essere stato un santuario rurale greco occupato e riadattato nel Medioevo per ricavarne un ambiente monastico autosufficiente grazie alla presenza del pozzo, un tempo chiuso da una copertura (forse lignea) andata perduta, il quale quasi certamente captava una sorgente che filtrava tra le rocce calcaree e gli strati argillosi.

Al XII secolo possiamo comodamente rimandare la titolazione di Grotte di San Giorgio alle nostre cavità, titolo esteso poi all'intera contrada e alla masseria che dalla contrada prende il nome, in quanto il simbolo della diocesi catanese fu, per l'epoca normanna, il santo cavaliere, protettore dei Normanni nella Battaglia di Cerami. Tale definizione è ancora esistente e non mancano sulla collina i riferimenti ancora oggi alla Contrada Grotte San Giorgio. Data la presenza di una nicchia arcuata, forse ad uso di altarino, potremmo indicare nella struttura rupestre la Grotta di San Giorgio propriamente detta, dove non è impensabile avvenisse il culto del santo.
Curioso però come uno scrittore attento come il Verga non abbia fatto riferimento alle grotte nei racconti citati, forse la via che conduceva alle cavità risultava abbastanza impervia per chi non risedeva in zona, al punto che chi non fosse del luogo potesse ignorarne l'esistenza. Lo scrittore si limita a citare le "collinette nude di Valsavoja", sul lato destro per chi passava il fiume (il Simeto, quasi certamente).
Appare singolare anche il silenzio dell'Orsi, anche se ciò potrebbe essere dovuto alla perdita di parte dei suoi taccuini, come sarebbe avvenuto per la monografia di Sciuto-Patti senza l'amorevole interesse di Condorelli.
Per evitare l'allagamento della Piana con le acque meteoriche provenienti dalla collina – cui si aggiungevano le copiose sorgenti – si provvide allo sbancamento di parte delle rocce e alla creazione di un canale di gronda che mitigasse gli effetti della pioggia. In questa occasione, stando ai racconti di gente del posto, si persero alcune delle cavità. Nel 1964 il feudo dei baroni di Villermosa e di Castel d'Oxena veniva spezzato in più lotti, praticamente svenduti, per fini agricoli in parte, ma soprattutto per fini industriali. In tale occasione si realizzò un imponente cementificio che ha distrutto buona parte della collina, con tutto ciò che essa conteneva: cavità artificiali e probabilmente anche naturali, forse persino piccole grotte carsiche di cui sono presenti alcuni indizi e i presunti resti di un villaggio ipotizzato sull'apice del colle. Successivamente si realizzò la cava di pietre sul lato opposto della collina e in anni a noi vicini è stata innalzata la celebre isola ecologica, che ha portato la zona agli onori della cronaca per vicende affatto legate all'archeologia.
Delle Grotte di Primosole, in definitiva, rimane l'intitolazione di una strada comunale (divenuta non si sa né come, né quando e nemmeno perché strada privata) e alcune cavità sparse che pur ridotte in numero non si possono non riconoscere nella loro importanza archeologica, naturalistica, paesaggistica, storica, in parte letteraria. Anzi.

Dimenticarle può solo accelerare il processo di erosione sgretolandole come sabbia al vento.







Nota- per meglio agevolare la lettura abbiamo diviso l'articolo originario in tre parti.
Vedi anche:
-Prima parte
-Seconda parte

giovedì 19 febbraio 2015

La "Piccola Pantalica Catanese": Le Grotte di Primosole - Seconda parte

In cosa consistono le Grotte di Primosole?

In realtà non ci sarebbe molto da dire, in quanto per ciò che ci risulta non esistono studi approfonditi sulla zona. In pratica non c'è stato ancora un interesse archeologico della zona, salvo qualche rara citazione a cavallo tra i secoli XIX e XX, come in una introvabile monografia dello Sciuto-Patti.
Le grotte rimaste sono alcune cavità artificiali, fortemente erose a causa della natura instabile delle rocce in cui furono scavate, per la maggior parte ad uso funebre.
A quando possano risalire, chiaramente, rimane un mistero, mancandone il corredo trafugato in passato. La tipologia a forno può comunque costituire uno spunto di riflessione: che siano di origine preistorica? La tipologia a forno è diffusissima nel siciliano durante l'Età del Bronzo, ma rimane la principale sepoltura anche durante il Ferro e in alcuni casi in piena età greca. L'unico esemplare che abbiamo potuto esplorare presentava una pianta circolare con volta quasi piatta e ingresso quadrangolare. L'interno non si sviluppa molto in profondità e lo stesso ingresso si presenta piuttosto modesto, segno che si trattava di una tomba singola. La natura del materiale calcareo, facilmente erodibile, non ha permesso il perfetto mantenimento della facciata di ingresso, di cui tuttavia se ne è potuta intuire l'esistenza grazie ad un foro che dovette servire a fissare il chiusino della tomba. Altri sepolcri pure riconoscibili sono stati più sfortunati, presentantosi tronchi fin quasi la metà.

Chi poté sfruttare queste tombe?
La tipologia della tomba a forno non è diffusa nel contesto dei Siculi, mentre rimane un elemento distintivo sicano. Non si esclude quindi possano essere appartenute a quest'ultima società.

Le fonti e le prove archeologiche raccontano come nel corso del XIII secolo a.C. la Sicilia orientale venne spopolata dai Sicani, sotto l'avanzare siculo. Solo alcuni speroni di roccia ben difendibili, come Pantalica e Cassibile, consentirono il mantenimento di questa antica società indigena. Chiaramente la Collina Primosole non è per nulla difendibile (anzi è un punto strategico per l'occupazione militare della costa orientale, come testimoniato ancora fino allo sbarco alleato del '43), ciò può indurre a credere che tali tombe possano precedere l'avanzata sicula. Un sito dunque di grande importanza archeologica, visto che il suo studio potrebbe aiutare a comprendere meglio le dinamiche socio-etniche anelleniche di questa parte dell'Isola.
Le fonti raccontano la storia del luogo soltanto per un breve periodo durante l'occupazione romana: Plinio ricorda tra le città tributarie dell'Impero vi era anche l'antica Simeto, riportata nella Geografia di Tolomeo erroneamente come Dimeto. Per Diodoro Siculo fu città di origine servile, sorta vicino l'altare dei Palici, città chiamata Simezia da Petronio Russo e identificata con i ruderi della contrada di Mendolito, mentre per Cluverio andrebbe identificata con Regalbuto, poiché egli la colloca a metà strada tra Agira e Centuripe mal interpretando Ameselo come corruzione di Simeto (in realtà, alcuni autori secentisti volevano che il fiume Amenano di Catania fosse chiamato in età arcaica Chamaseno o Amaseno, donde forse il palese errore di Cluverio). Diodoro aggiunge che Ducezio vi edificò una polis cinta da mura, chiamata Palica. Tuttavia tanto Simezia quanto Palica vengono localizzate da autori moderni e contemporanei nella valle medio-alta del fiume Simeto e non nei pressi della foce.
Alcuni autori (Carrera, Parthey, Sciuto-Patti) hanno localizzato la necropoli della Symaethus latina in contrada Passo Martino "nella tenuta o podere denominato Turrazza (...) posseduta oggi dal sig. Carmelo Porto (...) dai villici denominato Spedale" non lungi dalla Collina Primosole, quasi a guardare le necropoli più antiche. Il sito indicato è oggi in un appezzamento privato e viene riportato in diverse cartografie archeologiche e turistiche. Alcune obiezioni mosse di recente (Condorelli) mettono in dubbio la possibilità che i due siti siano messi in relazione, per via del letto del Gornalunga, ultimo affluente del Simeto prima della foce, che segna un ostacolo geografico per una naturale continuità tra i siti.
Su questo sito e in generale della parte bassa della Piana le fonti sono piuttosto silenziose, lasciando così troppi vuoti che difficilmente si possano colmare. Giunge a gettare un po' di luce sulla storia del sito un diploma del 1093 in cui il Conte di Siracusa Tancredi Altavilla di Salerno cedeva alla diocesi di Catania tra gli altri il casale di Ximet o Simed (identificato dal Carrera con la contrada che Sciuto-Patti denomina Grotte, evidentemente Grotte San Giorgio, ossia il sito di nostra analisi)  di sua proprietà e punto di confine dei latifondi ceduti per la costituzione, nel 1102, del feudo della Mensa Arcivescovile di Catania, sequestrata dal regno sabaudo. Il latifondo si estendeva a sud fino al fiume San Leonardo, a nord fino al Simeto (detto magni fluminis Catan, Linheti o Muse, con chiaro riferimento in quest'ultima dizione alla toponomastica islamica di Wadi Musha, Fiume di Moses), a est fino al mare e a ovest fino alla carraia Lentini-Paternò. 
Il regno sabaudo, per fare cassa, svendette e smembrò il feudo; nel 1887 uno dei maggiori beneficiari fu il barone Sigona di Villermosa e Castel d'Oxena (o Oscina), alla cui famiglia rimase la collina fino al 1964.
Al Sigona di Villermosa si devono le principali architetture ancora ammirabili nei pressi, tra cui la Masseria Primosole, oggi azienda agrituristica, impostata su un baglio di canone settecentesco o la Masseria Grotte San Giorgio, posta a ridosso del nostro sito.


Alle vicende del feudo si ispirò Verga nella composizione della prima stesura del Mastro Don Gesualdo (allo zio Nunzio appartenne l'osteria di Primosole, trasposizione fittizzia del barone Antonio Sigona) citando inoltre la "madonna di primosole che è miracolosa" (in Vagabondaggio), alle cui spalle erano sepolti "l'orbo (...), lo zio Cosimo e lo zio Antonio" (in Mondo Piccino). A questo feudo appartennero le grotte, ma anche Verga tace sulla loro presenza.






Ringraziamo l'instancabile opera di divulgazione effettuata dall'Associazione SiciliAntica, che ha permesso la pubblicazione della preziosa monografia di Carmelo Sciuto-Patti (Sul sito dell'antica città di Symaetus, Catania 1880), altrimenti dimenticata.
Nota- per meglio agevolare la lettura abbiamo diviso l'articolo originario in tre parti.
Vedi anche:
-Prima parte
-Terza parte

mercoledì 18 febbraio 2015

La "Piccola Pantalica Catanese": Le Grotte di Primosole - Prima parte

Parlare delle Grotte di Primosole non è facile.
Non è facile per varie ragioni, anzitutto perché se uno dice "grotte su roccia calcarea" a Catania ti pigliano per scimunito.

Catania è nera, lo sanno anche i sassi.
Catania è costruita sulla lava, lo sanno anche i sassi.
Catania è Etna, lo sanno anche i sassi.
Ma quali sassi?
Quelli calcarei della Piana.


Già, perché a sud della città, appena di poco passato il Porto, il torrente Acquicella avvisa l'ignaro passante che Catania appoggia su una piana alluvionale che si estende fino al lontano San Leonardo, a Lentini. Poco importa se nel 1669 una eruzione ha creato una lunga lingua di lava tra la città e la Piana. Il resto è eretto su terreno argilloso e sabbioso. E la duna fossile del Giardino Bellini, la Villa, ne è un silenzioso testimone. Poco importa se solo per quei pochi studiosi che sanno ancora riconoscere una duna senza scambiarla con un cratere vulcanico.
Ma Catania è lava e rocce calcaree non ne ha. Figuriamoci grotte.


Ecco, chi vuole parlare delle Grotte di Primosole deve necessariamente fare prima i conti con un diffuso pregiudizio che nega la possibilità a Catania di essere circondata da suoli non lavici.
Questo pregiudizio in sé non è pericoloso, ma cela in sé il germe dell'indifferenza, che è forse il motivo principe per il quale risulta ancora più difficile poter parlare delle Grotte di Primosole.
Nell'indifferenza generale si perdono la maggior parte dei beni più preziosi che ci accompagnano. Questo è certamente il caso delle nostre grotte.
L'indifferenza negli anni '50 ha voltato le spalle ai primi sbancamenti per la realizzazione di un canale di captazione delle acque provenienti dal Colle di Primosole, i quali hanno tagliato via parte delle grotte più a valle. A metà del decennio seguente la creazione di una cava di un cementificio ha sbancato un'ulteriore ampio numero di grotte e ancora negli anni '80 la realizzazione di una cava di pietra calcarea hanno fatto il resto. Il degrado ha voluto seguire l'indifferenza, così che oggi il sito sia tristemente noto per via dell'isola ecologica (erroneamente definita "di Lentini") e per le tante professioniste che offrono i loro servizi ai margini delle strade.
Per questi motivi e tanti altri non è facile parlare delle Grotte di Primosole, anche per via dell'Autostrada che vi passa di sotto e freneticamente toglie qualsiasi interesse al mondo che la circonda. Eppure lì, a due passi dalla strada più rapida per giungere a Siracusa, si apre ancora una piccola porzione di un mondo incredibilmente vario e sconosciuto, tutto catanese.
La piccola Pantalica Catanese.








Nota- per meglio agevolare la lettura abbiamo diviso l'articolo originario in tre parti.
Vedi anche:
-Seconda parte
-Terza parte

martedì 19 agosto 2014

San Berillo 2014: ancora tanta strada da fare

La riqualificazione del quartiere di San Berillo è un tema scottante che ogni amministrazione che si sussegue, inevitabilmente, si propone di affrontare.
Oggi, però, siamo ancora lontani dal vedere finalmente risanata la ferita che affligge sia ciò che resta del vecchio quartiere di San Berillo, sia la parte sventrata, corrispondente all'attuale Corso Martiri della Libertà. Su quest'ultimo si attendono novità sul fronte dell'amministrazione comunale, che ha parlato genericamente di possibile revisione delle cubature private (mentre sono in corso di valutazione le opere di urbanizzazione), ma anche sul fronte dei privati, che devono avanzare le richieste di concessione edilizia per fare partire i lavori commissionati all'illustre architetto Mario Cucinella. Quest'ultimo è stato ricevuto dal sindaco Bianco, il quale ha dichiarato di essersi trovato in grande sintonia di vedute con l'architetto: una frase che fa ben sperare.

Una veduta di Corso Martiri della Libertà nel progetto di Cucinella

La riqualificazione di Corso Martiri della Libertà potrebbe innescare un circolo virtuoso, portando al recupero di San Berillo vecchio, naturale spazio di congiunzione tra il nuovo grande asse e la zona della cosiddetta "movida" catanese. Il sindaco immagina in quest'area, non a torto, residenze per studenti e luoghi di lavoro e commercio per artigiani ed artisti.


Intanto, questa è la situazione di San Berillo vecchio, fotografato da un tetto del quartiere, in questo torrido agosto 2014:








giovedì 8 maggio 2014

Tavolo tecnico per salvare un quartiere

Un'ampia area di Catania si trova a rischio crollo: parliamo di una serie di isolati quasi per intero eretti al di sopra dell'Anfiteatro romano.
Un'intera area a rischio, come raccontato dalla recente inchiesta di CTzen e come dichiarato in una interrogazione parlamentare dalla senatrice Ornella Bertolotta (M5S).


Ma la buona notizia ci giunge sempre dalla testata online: un tavolo comune ha riunito di urgenza lo scorso 24 aprile gli attori coinvolti intorno alla struttura archeologica. Dal Comune alla Soprintendenza, dal rettorato della chiesa di San Biagio alla Facoltà di Giurisprudenza.
Operazioni straordinarie di pulizia di alcuni collettori fognari, rassicurazioni da parte degli enti coinvolti, impegno della Soprintendenza a spronare chi di competenza per risolvere i problemi e mettere in sicurezza le strutture portanti del monumento, su cui pesano gli edifici soprastanti.
I problemi principali sono essenzialmente tre: gli scarichi fognari che hanno invaso i fornices romani adattati a pozzi neri; il cedimento delle volte al di sotto di Villa Cerami, cui si provvide con una impalcatura di tubi innocenti i quali, a causa dell'umidità, si sfaldano al minimo tocco; una passerella da cui cadono calcinacci di pertinenza della chiesa di San Biagio.
Per risolvere il problema delle fognature due sono i progetti: la riparazione dell'allaccio di via Manzoni (già avviata, risolvibile in un paio di anni) e il completamento della rete fognaria (i quali tempi sono però molto più lunghi visti i costi previsti).
Di toni diversi è la situazione relativa alla struttura in tubi innocenti sotto le scuderie della Facoltà di Giurisprudenza. L'Ateneo catanese ritiene infatti che l'edificio di Villa Cerami, a seguito di verifiche, è risultato antisismico. La dottoressa Fulvia Caffo, soprintendente di Catania, ha comunque richiesto un finanziamento di somma urgenza di 40mila euro alla Regione Siciliana «per la verifica e la manutenzione dei tubi innocenti sotto le scuderie dell’Università, nonché per un monitoraggio delle fessurazioni e delle percolature».
Per la passerella, dichiarata abusiva, la soluzione è semplicemente l'asportazione. Trattandosi di una via di fuga, padre Calambrogio ha suggerito un progetto di sostituzione con un ponte in lamiera da concordarsi, soluzione non accettata e dalla Soprintendenza, dalla direzione del Parco Archeologico cittadino dalla rappresentanza del M5S, che ne chiedono la rimozione senza sostituzione.
Prossima tappa un protocollo di intesa per salvare un quartiere, con la richiesta di accesso ai fondi europei per il 2014-2020 da parte della Soprintendenza.
Passerella sull'ambulacro. Immagine tratta da CTzen
Nel frattempo non possiamo non notare la foto a corredo dell'articolo di CTzen, Anfiteatro, tavolo tecnico per correre ai ripari Un progetto per attingere ai fondi europei, in cui appare l'ambulacro esterno dell'edificio, corridoio-intercapedine tra le due facciate del monumento. Oltre la pericolante passerella si nota una arcata rampante (databile al XVIII secolo) dallo spessore apparente di un metro circa. Sopra quella arcata passa via del Colosseo, una strada aperta al traffico, a solo un metro dal vuoto.
Per rendere sicuro il quartiere si potrebbe iniziare da qui: rendere la strada accessibile a pochi veicoli autorizzati per non gravare eccessivamente sulle strutture sottostanti, nate per sostenere il peso di qualche carrozza e non dei veicoli moderni (tra i quali spesso anche mezzi pesanti) che quotidianamente vi passano.

giovedì 20 febbraio 2014

Anfiteatri e disinformazione: un po' di chiarezza

Una recente notizia sul Quotidiano di Sicilia apre scenari inquietanti su Catania.
Una fondazione ha proposto un "restyling per valorizzare uno dei monumenti più importanti della città", che "prospettava in successive fasi la possibilità di ripristinare le gallerie sotterranee di collegamento tra Anfiteatro e Teatro greco-romano" mediante un concorso di idee rivolto a giovani architetti, dandosi disponibile al versamento di 20.000 € per la realizzazione del progetto e di 5.000 € da darsi al vincitore del concorso. La fondazione avrebbe trovato però ostacoli nella "lentezza e la farraginosità della burocrazia", che da ottobre ad oggi avrebbe rallentato un iter che si vorrebbe ripartisse quantomeno a Pasqua, affinché l'anfiteatro si presenti in "una piazza Stesicoro a misura di visitatore".
Dunque una pregevole iniziativa, consistente nel "finanziamento di 25 mila euro complessivi" per aprire il sottosuolo catanese, sarebbe ferma per una lenta burocrazia. La notizia sembrerebbe fermarsi qui, insieme al progetto.
L'Anfiteatro.
Tuttavia, tra le righe, si percepiscono vicende leggermente diverse.
Anzitutto una precisazione tecnica.
Nel sottosuolo di Catania non esistono e mai sono esistite gallerie ipogee che mettano in comunicazione Teatro e Anfiteatro. Questa leggenda metropolitana (perché di ciò si tratta) è legata alla famosa scolaresca perduta nella fantomatica Catania vecchia, leggenda peraltro comune in tutte le città che abbiano un sottosuolo archeologico. Tutto intorno alle strutture sepolte dell'Anfiteatro, infatti, vi sono solo ed esclusivamente macerie, depositi stratigrafici e soprattutto fondamenta degli edifici visibili in superficie. Niente gallerie, dunque, nessun corridoio né sottopassaggio che camminerebbe addirittura per ben 700 metri al di sotto delle strade superficiali. Un corridoio che si presumerebbe voluto dai Romani. Peccato che all'epoca romana quelle che oggi sono macerie erano alla luce del sole e dunque non vi era motivo alcuno di costruire gallerie al chiuso. La fantasiosa visione di una città sotto la città ricorda molto le storie degli alligatori e delle civiltà di mutanti sotto le fogne e dentro le gallerie della Metropolitana di New York.
A voler essere pignoli, in una foto di corredo all'articolo si può vedere "uno dei sotterranei".
Non facciamo fatica a riconoscere il primo ambulacro dell'Anfiteatro, null'altro che il corridoio ellittico che girava intorno all'arena. La foto inoltre non illustra una parte nascosta o vietata al pubblico, ma in pratica tutto ciò che c'è di visitabile al momento dell'edificio!
Primo ambulacro dell'Anfiteatro, spacciato per cunicolo sotterraneo.
Ma fingendo possa esistere una serie di cunicoli non romani capaci di mettere in comunicazione i due grandi edifici teatrali della città antica, viene spontaneo chiedersi, per sgomberarli e creare un percorso fruibile, basterebbero 25.000 euro? La risposta viene da sé. Leggiamo sul web che per un progetto esistente destinato ad aprire il solo Portico dell'Atleta, dove "i lavori da fare sono pochi", servono circa 30.000 euro. E il Portico si trova tra Anfiteatro e Teatro. E il Portico occupa meno di un decimo della lunghezza complessiva dei presunti cunicoli. Dunque ci chiediamo come farebbero "25 mila euro complessivi" a bastare per un progetto così ambizioso.
Ma notiamo inoltre una incongruenza nell'articolo del Quotidiano. Dei 25.000 €, 5 mila sono destinati a premiare il vincitore del concorso di architettura. Dunque, con i rimanenti 20.000 si dovrebbe finanziare il progetto. Questo ci fa chiedere cosa si possa realizzare con questo budget.
Abbiamo chiesto ai diretti interessati, ossia il Museo Regionale-Parco Archeologico di Catania.
"Ben poco" è la replica, "l'Anfiteatro è un monumento che sta crollando e che avrebbe bisogno di milioni di euro. Con 20 mila euro si può fare solo la garitta dei custodi e poco altro".
Resti dell'edificio in vico Anfiteatro. Di sopra è ben visibile il recente terrapieno del giardino della Facoltà di Giurisprudenza, i cui vistosi tubi di scolo delle acque pluvie in plastica si aprono sull'area archeologica.
Dunque, prendiamo qualche informazione in più sulla vicenda e scopriamo una cosa interessante. La Fondazione Etica & Valori - Marilù Tregua è in pratica una filiazione del medesimo Quotidiano di Sicilia, dedicato alla giornalista e amministratore delegato Marilù Tregua, prematuramente scomparsa nel 2011. La fondazione, precisiamo dai nobili propositi e intenti, è stata fondata dal padre Carlo Alberto, direttore del medesimo Quotidiano.
Dunque nulla di strano che sul Quotidiano si dia ampio spazio alla notizia e nulla di strano che si possano compiere distrazioni come nel ritenere bastevoli 20 mila euro per progetti ambiziosi o peggio ancora che esistano davvero gallerie sotterranee ostruite che la burocrazia impedisce di sgomberare.
A questo punto indaghiamo più a fondo e scopriamo che alla Fondazione era stato concesso di sostituire la garitta in prefabbricato con una struttura più decorosa e provvedere al ripristino dell'illuminazione vandalizzata, concedendo all'interno un manifesto pubblicitario di formato A3. Tale concessione, pare, non è stata accettata dalla stessa Fondazione il cui intento a questo punto rimane poco chiaro: vuole compiere una donazione sì o no?

Davanti a proposte, rimpalli, disinformazioni varie intanto vi è l'Anfiteatro, uno dei pochi edfici superstiti della Catania romana, la cui apertura rimane e rimarrà parziale a lungo, almeno fino a quando non si risolveranno i problemi seri che colpiscono l'edificio. Come un pericolante ponticello presso la sacrestia della chiesa di San Biagio, come gli scarichi fognari di alcuni privati le cui abitazioni si affacciano su via del Colosseo, su via Penniniello e su via Manzoni, come gli scarichi e il terrapieno della facoltà di Giurisprudenza.
Un Anfiteatro che non può essere fruibile fintanto che le strutture soprastanti continueranno a ritenerlo un vuoto a perdere, una fondazione che non accetta di sistemare una garitta, un bene patrimoniale che corre il rischio di crollare, un giornale che compie disinformazione. Tanti elementi per lasciare un vuoto, in piazza Stesicoro, la cui funzione spesso è ignota ai catanesi stessi.
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