Le modalità di narrazione possono essere nel linguaggio e nelle parlate comuni, nei costumi e nelle usanze dei cittadini, nell'espressione dei loro gesti, nelle architetture e nella forma della città, nei dettagli dei palazzi ingrigiti da indelicati fumi di scarico e sommersi da maleducati quanto però utili cavi elettrici.
Mille e più modi per raccontarsi: la storia generale o le infinite storie che come le sfumature di un ritratto a matita rendono l'immagine ancora più dettagliata e nel contempo confusa.
La storia che abbiamo voluto ascoltare in questa occasione è forse la più importante tra tutte, poiché è narrata nientemeno che dal simbolo civico in persona: l'Elefante.
La più antica testimonianza scritta è dell'Idrisi, il quale lo cita come un manufatto bizantino usato dalla popolazione a modo di talismano per fermare le eruzioni dell'Etna, portandolo in processione secondo un antichissimo rito.
Con la conquista Normanna Catania viene assoggettata ad un vescovo-conte, perdendo la sua libertà. Il vescovo imporrà anche un nuovo simbolo comunale, l'effige di San Giorgio, protettore dei Cavalieri.
La città dovrà attendere il 1239, quasi due secoli più tardi, affinché oltre alla libertà perduta si possa ottenere anche il vecchio simbolo comunale: Federico II infatti riscatta la città e concede vari privilegi, tra cui la possibilità di scegliere il proprio stemma.
L'Elefante apparirà in seguito accompagnato da una fanciulla armata (secondo alcuni Minerva, secondo altri Sant'Agata) e sovrastato da una "A", attribuita dal Vaccarini all'iniziale di Minerva (ovviamente nella sua veste greca di Athena), sebbene anche qui rimangono i dubbi che non sia piuttosto l'iniziale di Aragona o ancora una volta di Agathae.
Il sisma del 1693 fece cadere la statua in pietra lavica frantumandola, l'architetto GianBattista Vaccarini la restaurò diligentemente, vi pose occhi e zanne in pietra calcarea e la collocò, assieme ad un obelisco di incerta origine, su una artistica fontana posta proprio al centro di Piazza Duomo, a sfidare bonariamente in eterno la Cattedrale.
La Fontana dell'Elefante (1735-1737). |
L'Elefante di Catania è in realtà un mistero per tutti. Storici, archeologi, storici dell'arte. Nessuno saprebbe dire da quando esso si trovi nella città. Forse ci è nato; forse no.
L'unica certezza è che esso è stato battezzato dai catanesi - costume tipico a Catania, dare nomi agli elementi urbani - e prende nome di Liotru, dai glottologi tradotto in Eliodoro.
Come mai?
Eliodoro, narra la tradizione, era una personalità molto particolare della città dell'ottavo secolo. Costui diede i voti per diventare prete e in seguito vescovo della città, ma gli fu negata qualsivoglia attività religiosa poiché accusato di negromanzia: pare infatti che costui praticasse la magia nera insegnata nientemeno che dagli Ebrei.
Dunque esisteva una comunità ebraica a Catania piuttosto longeva, di cui però non abbiamo altri documenti relativi ad essa oltre quelli testé detti. Quindi sorge la seconda considerazione, relativa alla presenza della comunità ebraica in VIII secolo. Se infatti è vero che una comunità sia esistita fino al III secolo, indefinita è la sua sorte dopo tale epoca. In questo secolo ci è nota una nutrita comunità cristiana da cui emerge Agata, patrona della città, soggetta a persecuzioni da parte dei governatori romani. Possibile che anche gli Ebrei ebbero analogo destino? La crisi dell'impero due secoli più tardi vede la città assediata dai Vandali e la popolazione ridotta drasticamente in numero. Le instabili vicende politiche seguenti si concludono con le guerre Greco-Gotiche e con il predominio Bizantino sull'Isola. I Bizantini favorivano il diffondersi a tappeto della religiosità cristiana, combattendo spesso aspramente ciò che non era riconosciuto ufficiale dall'Impero. Che l'ultimo residuo di quella comunità fosse stata rimossa per via definitiva in tale occasione? L'unica certezza è che al momento della dominazione islamica, tra il IX e lo XI secolo, in città viene fondata una nuova comunità costituita da Ebrei magrebini (in prevalenza egiziani) e ubicata in un'area diametralmente opposta a quella di epoca romana, segno evidente di assenza di continuità, ovvero che la nuova comunità ignorasse dove abitassero i suoi predecessori.
Dunque appare evidente che la tradizione di un apostata di nome Eliodoro che si diede alle pratiche magiche ebree scricchioli un pochetto.
L'Eliodoro della leggenda poi, usava le sue arti magiche per disturbare la quiete non solo della città, ma anche dell'Impero, apparendo a cavallo dell'elefante di pietra a Costantinopoli e, inseguito dalle guardie imperiali, sparendo sotto gli occhi interdetti di tutti beffandosi così delle istituzioni.
San Leone Taumaturgo 1754. (Fonte) |
Sabino, spaventato dalla vita in città e dalle politiche instabili del tempo, si rifugia in un imprecisato monastero sull'Etna, secondo alcuni il nucleo originario di Zafferana, seguito da alcuni suoi fedelissimi per dedicarsi alla vita ascetica.
Siamo in un periodo storico in cui si fa risalire il monachesimo greco di Sicilia, quando l'Isola, thema bizantino, a fatica si riprendeva dalle guerre Greco-Gotiche. Si rafforzano i culti orientali, si professa la natura spirituale del Cristo, si occupano le tombe degli avi per ricavarne case, segno evidente del rischio che comportava costruirsi le proprie residenze.
La tradizione vuole che i catanesi ebbero in sogno, tutti assieme, un angelo che diceva loro di recarsi a Reggio dove avrebbero trovato un uomo in odore di santità di nome Leone. Quanto sia fondata questa tradizione poco importa, piuttosto l'evento è un segno che la città di Catania dovette resistere all'interno del proprio nucleo e che esistette una amministrazione capace di potere decisionale. Leone inizialmente rifiutò l'incarico, ma su pressione cedette e divenne il nuovo vescovo cittadino. Nel contesto storico Leone incarna piuttosto la lotta alle eresie del tempo, atte a rafforzare la fede cristiana, quasi l'altra faccia della medaglia rispetto al suo predecessore che preferì la foresta alla città. Leone, non a caso, viene indicato come benedettino e come tale praticante della regola Hora et Labora.
Eliodoro, nome che riflette le antichità pagane (si racconta che fosse figlio di patrizi barbari), invidioso di Leone, usava le sue arti magiche per disturbare le funzioni religiose del suo antagonista, mutando - nell'apparenza - l'aspetto dei fedeli in preghiera e insultando pubblicamente il vescovo, da lui indicato come incapace di controllare la sua comunità.
Leone non si fece intimorire, ma afferratolo per il collo lo condusse in una fornace accesa nel "luogo che prende il nome di Achille" e di Eliodoro non rimase che cenere.
Su tale luogo si è supposto si possa trattare delle omonime Terme romane, situate sotto la Cattedrale Normanna, dove un tempo era ricavata una cappella forse bizantina.
San Leone il Taumaturgo che sconfigge Eliodoro (1770ca) di Matteo Desiderato. Si può vedere l'Elefante la cui proboscide è sottomessa alla forza di Leone. (Fonte) |
Nel 1508 la statua dell'Elefante fu trasportata sulla facciata della Loggia, il palazzo senatoriale la cui storia edilizia fu lunga e travagliata e quell'anno veniva concluso, cui venne affiancata l'iscrizione Ferdinandus-Hispaniae utriusque-Siciliae-Rege/ Elephans erectus fuit a Cesare Jojenio/ Justitiario/ MDVII. Dalla veduta a volo di uccello di Catania nel Cinquecento (la prima versione è di Braun et Hogenberg del 1582) si evince che l'Elefante fu posto in cima all'artistico loggiato che faceva da ingresso all'edificio e da cui prendeva nome l'edificio.
Il mito di un Eliodoro sconfitto dall'imperturbabile sacerdote è un tema molto caro alla restaurata Chiesa Cattolica dell'inizio del XVI secolo e lo dimostra poco tempo più tardi il celebre affresco di Raffaello nelle Stanze del Vaticano.
Cacciata di Eliodoro dal Tempio (1511) di Raffaello Sanzio. La posa dell'esattore inviato da Seleuco IV sembra essere di ispirazione per il quadro di Desiderato. (Fonte) |
Ma la città prende a raccontare la cosa in modo diverso e il mito si arricchisce di dettagli sempre più sofisticati, fino al punto che Eliodoro non solo ne esca quale una sorta di eroe per i cittadini che ne ammirano il modo in cui prendeva in giro l'odiato Impero, ma fregia del suo nome il medesimo Elefante, a perenne memoria di quel buffo personaggio in grado di teletrasportarsi in acqua da una semplice bacinella, di rendersi piccolo tale da entrare nella manica della veste del boia, da tramutare i calvi in capelluti e i capelluti in calvi. Un folletto dispettoso, insomma, che incarna meglio lo spirito e il sentire catanese.
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