In realtà non ci sarebbe molto da dire, in quanto per ciò che ci risulta non esistono studi approfonditi sulla zona. In pratica non c'è stato ancora un interesse archeologico della zona, salvo qualche rara citazione a cavallo tra i secoli XIX e XX, come in una introvabile monografia dello Sciuto-Patti.
Le grotte rimaste sono alcune cavità artificiali, fortemente erose a causa della natura instabile delle rocce in cui furono scavate, per la maggior parte ad uso funebre.
A quando possano risalire, chiaramente, rimane un mistero, mancandone il corredo trafugato in passato. La tipologia a forno può comunque costituire uno spunto di riflessione: che siano di origine preistorica? La tipologia a forno è diffusissima nel siciliano durante l'Età del Bronzo, ma rimane la principale sepoltura anche durante il Ferro e in alcuni casi in piena età greca. L'unico esemplare che abbiamo potuto esplorare presentava una pianta circolare con volta quasi piatta e ingresso quadrangolare. L'interno non si sviluppa molto in profondità e lo stesso ingresso si presenta piuttosto modesto, segno che si trattava di una tomba singola. La natura del materiale calcareo, facilmente erodibile, non ha permesso il perfetto mantenimento della facciata di ingresso, di cui tuttavia se ne è potuta intuire l'esistenza grazie ad un foro che dovette servire a fissare il chiusino della tomba. Altri sepolcri pure riconoscibili sono stati più sfortunati, presentantosi tronchi fin quasi la metà.
Chi poté sfruttare queste tombe?
La tipologia della tomba a forno non è diffusa nel contesto dei Siculi, mentre rimane un elemento distintivo sicano. Non si esclude quindi possano essere appartenute a quest'ultima società.
Le fonti e le prove archeologiche raccontano come nel corso del XIII secolo a.C. la Sicilia orientale venne spopolata dai Sicani, sotto l'avanzare siculo. Solo alcuni speroni di roccia ben difendibili, come Pantalica e Cassibile, consentirono il mantenimento di questa antica società indigena. Chiaramente la Collina Primosole non è per nulla difendibile (anzi è un punto strategico per l'occupazione militare della costa orientale, come testimoniato ancora fino allo sbarco alleato del '43), ciò può indurre a credere che tali tombe possano precedere l'avanzata sicula. Un sito dunque di grande importanza archeologica, visto che il suo studio potrebbe aiutare a comprendere meglio le dinamiche socio-etniche anelleniche di questa parte dell'Isola.
Le fonti raccontano la storia del luogo soltanto per un breve periodo durante l'occupazione romana: Plinio ricorda tra le città tributarie dell'Impero vi era anche l'antica Simeto, riportata nella Geografia di Tolomeo erroneamente come Dimeto. Per Diodoro Siculo fu città di origine servile, sorta vicino l'altare dei Palici, città chiamata Simezia da Petronio Russo e identificata con i ruderi della contrada di Mendolito, mentre per Cluverio andrebbe identificata con Regalbuto, poiché egli la colloca a metà strada tra Agira e Centuripe mal interpretando Ameselo come corruzione di Simeto (in realtà, alcuni autori secentisti volevano che il fiume Amenano di Catania fosse chiamato in età arcaica Chamaseno o Amaseno, donde forse il palese errore di Cluverio). Diodoro aggiunge che Ducezio vi edificò una polis cinta da mura, chiamata Palica. Tuttavia tanto Simezia quanto Palica vengono localizzate da autori moderni e contemporanei nella valle medio-alta del fiume Simeto e non nei pressi della foce.
Alcuni autori (Carrera, Parthey, Sciuto-Patti) hanno localizzato la necropoli della Symaethus latina in contrada Passo Martino "nella tenuta o podere denominato Turrazza (...) posseduta oggi dal sig. Carmelo Porto (...) dai villici denominato Spedale" non lungi dalla Collina Primosole, quasi a guardare le necropoli più antiche. Il sito indicato è oggi in un appezzamento privato e viene riportato in diverse cartografie archeologiche e turistiche. Alcune obiezioni mosse di recente (Condorelli) mettono in dubbio la possibilità che i due siti siano messi in relazione, per via del letto del Gornalunga, ultimo affluente del Simeto prima della foce, che segna un ostacolo geografico per una naturale continuità tra i siti.
Su questo sito e in generale della parte bassa della Piana le fonti sono piuttosto silenziose, lasciando così troppi vuoti che difficilmente si possano colmare. Giunge a gettare un po' di luce sulla storia del sito un diploma del 1093 in cui il Conte di Siracusa Tancredi Altavilla di Salerno cedeva alla diocesi di Catania tra gli altri il casale di Ximet o Simed (identificato dal Carrera con la contrada che Sciuto-Patti denomina Grotte, evidentemente Grotte San Giorgio, ossia il sito di nostra analisi) di sua proprietà e punto di confine dei latifondi ceduti per la costituzione, nel 1102, del feudo della Mensa Arcivescovile di Catania, sequestrata dal regno sabaudo. Il latifondo si estendeva a sud fino al fiume San Leonardo, a nord fino al Simeto (detto magni fluminis Catan, Linheti o Muse, con chiaro riferimento in quest'ultima dizione alla toponomastica islamica di Wadi Musha, Fiume di Moses), a est fino al mare e a ovest fino alla carraia Lentini-Paternò.
Il regno sabaudo, per fare cassa, svendette e smembrò il feudo; nel 1887 uno dei maggiori beneficiari fu il barone Sigona di Villermosa e Castel d'Oxena (o Oscina), alla cui famiglia rimase la collina fino al 1964.
Al Sigona di Villermosa si devono le principali architetture ancora ammirabili nei pressi, tra cui la Masseria Primosole, oggi azienda agrituristica, impostata su un baglio di canone settecentesco o la Masseria Grotte San Giorgio, posta a ridosso del nostro sito.
Alle vicende del feudo si ispirò Verga nella composizione della prima stesura del Mastro Don Gesualdo (allo zio Nunzio appartenne l'osteria di Primosole, trasposizione fittizzia del barone Antonio Sigona) citando inoltre la "madonna di primosole che è miracolosa" (in Vagabondaggio), alle cui spalle erano sepolti "l'orbo (...), lo zio Cosimo e lo zio Antonio" (in Mondo Piccino). A questo feudo appartennero le grotte, ma anche Verga tace sulla loro presenza.
Ringraziamo l'instancabile opera di divulgazione effettuata dall'Associazione SiciliAntica, che ha permesso la pubblicazione della preziosa monografia di Carmelo Sciuto-Patti (Sul sito dell'antica città di Symaetus, Catania 1880), altrimenti dimenticata.
Nota- per meglio agevolare la lettura abbiamo diviso l'articolo originario in tre parti.
Vedi anche:
-Prima parte
-Terza parte
1 commento:
Grande Iorga Prato, fine conoscitore e storica della nostra bella Catania e non solo...
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